Origine del monoteismo e sue conseguenze in Europa L'abbraccio mortale Silvano Lorenzoni, a cura di Gianantonio Valli |
1- CONSIDERAZIONI GENERALI
Messa a punto semantica
Prima di affrontare un argomento articolato come il fenomeno monoteista, e per non perderci in meandri lessicali, è bene dare definizioni quanto più precise. Ognuno sa, o crede di sapere, che cosa sia il monoteismo: si tratterebbe della fede nel "dio unico" Ma questo è un concetto che richiede una vera e propria messa a punto. In primo luogo, occorre intendersi su cosa sia un "dio"; e per consolidare il concetto è indispensabile risalire al mondo arcaico e al suo modo di percepire la natura.
Fino a tempi storicamente molto recenti (in Europa fino alla fine del Medioevo, in altre parti del mondo fino ad un secolo fa), la Natura - ciò che l'io osserva e con cui esso interagisce - non era percepita come inerte materia soggetta a leggi automatiche, ma quale sede obiettiva di molteplici forze animiche con le quali l'uomo poteva porsi in fattuale contatto con un determinato comportamento rituale o, in taluni casi, per comunicazione diretta usando vie parapsicologiche o stregoniche.
Per necessità semantiche - si ricordi che il linguaggio umano è strutturato in modo da esprimere gli oggetti e le causalità dell'ordinaria esperienza sensoriale di veglia (1) - a queste forze si dovevano assegnare nomi che le identificassero, mentre il tipo di comportamento che esse estrinsecavano veniva reso comprensibile e prevedibile attribuendo loro, in guisa antropomorfica, una "personalità", una "psicologia".
In questo modo si venivano a definire degli "dèi",
quali rappresentazioni o modelli lessicali di forze extraumane e
più che umane, le quali venivano però percepite come qualcosa
di obiettivo. L'uomo della tradizione ebbe un'esperienza
esistenziale (e non solo intellettuale) del sacro, esperienza che
si poneva a fondamento della religione arcaica (2). Qui sta la
differenza fra il concetto di dio e quello di ipostasi:
un'ipostasi è un'idea, inizialmente di tipo esclusivamente
intellettuale e godente di una "realtà" soltanto
lessicale, la quale viene proiettata - arbitrariamente e come
puro atto di volontà - al di là dell'esperienza sensoriale di
veglia per attribuirle una fantasmatica esistenza quale forza
pensante extraumana - esistenza che si limita poi a un puro atto
di fede da parte di chi l'ipostasi ha proiettato (ad esempio, il
diavolo è l'ipostasi dell'idea di Male).
Il monoteismo viene a essere uno strano, teratologico
sviluppo concettuale che non può essere se non conseguenza di
una cesura fra l'uomo e il sacro, il quale, a un certo momento e
presso una qualche gruppo umano, viene a cessare di essere
un'esperienza esistenziale. Inizialmente,
persiste ancora l'idea del "dio" quale forza, la quale
però viene ora a confondersi e ad essere identificata con la sua
decrizione semantica che, inizialmente, non era stata se non un
fatto di convenienza. Tale visione antropomorfa viene ora
ipostatizzata e, attraverso un perverso processo psicologico,
unicizzata: ora, il "dio" è unico.
Questo significa che la molteplicità delle forze
dell'universo - delle quali non si ha più esperienza
esistenziale - vengono ridotte ad una sola ipostasi antropomorfa
che, come tale, viene dotata di un suo carattere, di una sua
"personalità" di una psicologia che non potrà non
riflettere quella dell'individuo o degli individui che tale
apparato concettuale abbiano originato. Secondo questa visione,
ogni altra forza/essere diviene una sua emanazione o "creatura".
Nel contempo, avendo osservato che il monoteismo non può
essere insorto se non presso un tipo umano completamente
desacralizzato - cioè un tipo per il quale l'esperienza
esistenziale del sacro non è più possibile - risulta che con
tale cesura subentra la fede quale valore religioso: si crede per
forza (per imposizione, esercitata volontariamente su se stessi,
oppure per obbligo) in qualcosa che sta davanti esclusivamente
come proposta intellettuale ma di cui non si può avere alcuna
esperienza:
non a caso - lo documenta Mircea Eliade (3) - la fede, quale valore religioso, ha la sua scaturigine nell'ebraismo, punto di partenza di ogni altro monoteismo. Sostituire la fede alla percezione esistenziale del sacro è come sostituire con una protesi un arto vivente; e c'è una contraddizione di fondo fra le due prime virtù teologali cristiane, perché aver fede è di per sé un atto di disperazione.
Il paleocristiano Tertulliano osservava, seriamente, di
credere che il figlio di dio si era incarnato perché ciò era
assurdo; e che il medesimo era risuscitato dalla morte perché ciò
era impossibile.
In sede storica l'unico monoteismo conosciuto è lo jahwismo - o
abramismo, messo a punto nella sua forma finale da quella parte
del popolo ebraico - un'etnìa essenzialmente semitica - che nel
VI secolo a.C. si trovava in esilio a Babilonia. Questo è il
monoteismo che poi, nelle sue molteplici varianti (ebraismo,
cristianesimo nelle sue diverse forme, islam e varianti laiche
come il marxismo e il liberalismo), imperversa oggi nelluniverso
mondo. Il corrispondente "dio unico", Jahweh,
risente pertanto della problematica psicologia dell'ecumene
semitico (4), nonché di quella particolarmente contorta dei suoi
inventori specifici (contrariamente all'opinione di alcuni
storici, né lo zoroastrismo iraniano né l'akhnatonismo egizio
furono manifestazioni monoteiste).
Tanto meno si può vedere una forma di "progresso verso il
monoteismo" nel pensiero dei filosofi europei da Platone in
poi, attraverso la scuola di Atene (soprattutto Plotino, ma anche
Porfirio, Giamblico, Proclo). La confusione al riguardo non poté
e non può essere dovuta se non a secoli di abitudine ad
incasellare tutto in un paradigma concettuale monoteista. Platone
e i neoplatonici si riallacciano a quella visione arcaica, comune
a tutti i popoli civili, secondo la quale esiste un "retroscena"
(Urgrund, "fondamento
primevo") ontologico dell'universo che non è certo un
"dio" - né nel senso esistenziale né tanto meno in
quello lessicale - ma che è qualcosa che trascende sia gli
uomini che gli dèi; e che sta al di fuori e al di sopra del
tempo e dell'essere manifestato. Questo è il Brahma
vedico, il Tao paleocinese e anche il Numero pitagorico (5).
Anche il platonico Demiurgo, visto come forza plasmante e formate
degli esseri materiali, è un'accomodamento lessicale, come lo
sono tutti i miti cosmogonici che fanno riferimento a un "dio"
creatore (poi, almeno in Europa, tutti inseriti in un paradigma
più o meno cristiano) (6).
Il feticismo: Mircea Eliade
Abbiamo detto che l'unico monoteismo storicamente conosciuto
è di origine semitica. Il monoteismo è un fenomeno semitico: non
a caso, sulla scia di papa Pio XI, un importante teologo
cattolico ebbe a dichiarare che ogni buon cristiano è nell'animo
suo, semita (7). Questo dà adito ad affrontare
la casistica del feticismo, che è quel fenomeno religioso
secondo il quale il "dio" - forza obiettiva, della
quale normalmente si dovrebbe avere un'esperienza esistenziale -
viene confuso con l'oggetto, materiale o lessicale, utilizzato
per raffigurarlo o per descriverlo (generalmente, si parla di
feticismo con riferimento alle immagini materiali).
Ebbene, sta di fatto che nessuna popolazione al mondo - con una
sola eccezione - ha mai confuso l'oggetto materiale usato per
raffigurare il dio - o la dea, l'anima, la psiche, il fantasma,
la forza - col dio raffigurato. Quando diciamo nessuna,
intendiamo dire che questo errore non lo commisero neppure i bantù,
i cannibali papuasi, i pigmei dell'Africa equatoriale, gli
estinti coprofagi della Tasmania o i fueghini del bordo
dell'Antartide. L'eccezione a cui ci si riferisce - questo è
documentato da Mircea Eliade (8) - furono i semiti (e ancora
adesso il tempio di Gerusalemme e la kaaba della Mecca
sono cose estremamente sospette). Non sorprende, a ben vedere,
che il monoteismo sia insorto proprio fra le uniche genti che
siano mai state realmente feticiste.
A questo si ricollega il fatto che i monoteisti più fanatici e
più ottusi, tipo gli ebrei, i protestanti, i musulmani, accusano
cattolici e ortodossi di feticismo perché essi sarebbero "adoratori
di immagini". Si tratta di un fenomeno psicologico di
ipercompensazione, per cui si attribuiscono agli altri i propri
difetti. Essi praticano l'iconoclastia poiché in tal
modo evitano quello che per loro è un "pericolo".
L'estetologo Richard Eichler (9) osservava che l'ebraismo,
l'islam e il calvinismo sono le tre religioni nemiche del bello,
mettendo poi questo fatto in relazione con la loro radice
semitica. Il paleocristiano Paolino da Nola rifiutava di farsi
ritrarre perché il cosiddetto homo coelestis non può
essere riprodotto, mentre l'homo terrenus non deve essere
raffigurato (10).
Anormalità monoteista: Raffaele Pettazzoni
Prima di entrare nel vivo dellargomento, vale la pena di
commentare un pensiero di colui che, forse, fu il più grande
studioso italiano di storia comparata delle religioni: Raffaele
Pettazzoni (11). Secondo il Pettazzoni, la condizione normale di
un'umanità psicologicamente sana è il politeismo. Il monoteismo
viene a essere un'intrusione catastrofica prodotta
invariabilmente da una singola personalità, strana e possente -
e, aggiungiamo noi, dalle caratteristiche distruttive: quale
fondatore di un monoteismo (e solo sotto questo punto di vista),
anche in Gesù Cristo ha da ravvisarsi una figura annientatrice
della normale condizione vitale e religiosa degli uomini. In
particolare, prosegue il Pettazzoni, per potersi affermare, ogni
monoteismo abbisogna di un politeismo contro cui scagliarsi con
rabbia assassina: questa, in sede storica, è stata sempre una
caratteristica delle affermazioni monoteiste (12).
Le idee del Pettazzoni possono essere ulteriormente sviluppate.
(a) Se la normalità è politeista, ci si può attendere che col
tempo ci sia una tendenza a che i monoteismi si ridisciolgano
nella normalità politeista. Al riguardo (13) ci sono degli
incoraggianti sviluppi, sia in area cristiana che in area
islamica, che sembrano indicare che la "normalizzazione"
sta incominciando ad avere luogo.
(b) A voler figgere lo sguardo nella notte dei millenni - fino
alla semileggendaria Atlantide e oltre - viene da pensare che
chissà quante volte la deformazione monoteista può avere
imperversato sui popoli, per poi inevitabilmente scomparire in
ragione del semplice fatto di essere qualcosa di contro natura -
forse travolgendo ogni volta, nella sua caduta, imperi, popoli e
razze.
SVILUPPI STORICI E TEOLOGICI NEL MEDIO ORIENTE
Note introduttive
Stando alle conoscenze correnti, l'origine dello jahwismo (che non fu subito un monoteismo in senso stretto) ha da porsi verso la fine del II millennio a.C. e fu opera di un certo Mosè. A quanto sembra, Jahweh, un dio preesistente e che era stato adorato assieme a svariati altri da determinati clan semitici (non ancora ebrei in senso stretto), fu originalmente un mostriciattolo lunare non dissimile dal (o forse identico al) paleosemitico Sin (14).
Mosè impose ai suoi sudditi - in origine un coacervo plurimo di svariate etnie e razze, non esclusi ceppi negroidi di estrazione africana (15) - il culto unico di Jahweh, col quale affermò di avere fatto un patto particolare e che avrebbe promesso a loro ogni sorta di privilegi a cambio del culto esclusivo. Degli altri dèi non si negava esplicitamente l'esistenza, ma si rifiutava loro il culto.
Le pretese mosaiche furono imposte alla popolazione, non senza
trovare un'importante resistenza (16). C'è da credere che già
allora Jahweh venisse ad assumere certe sinistre e teratologiche
caratteristiche che vennero a galla in modo del tutto esplicito
quando il cosiddetto Vecchio Testamento, quale noi adesso lo
conosciamo, venne messo per iscritto nel V secolo a.C.
Fra i tempi del mitico Mosè (XII secolo a.C.) e quelli di Esdra
(V secolo a.C.), il mosaismo subì una serie di sviluppi che lo
portarono a essere il babilonismo o esdrismo; che adesso viene a
essere lo jahwismo ufficiale quale esso è preso per valido sia
dagli ebrei che dalle chiese neojahwiste cristiane. Da parte
jahwista, questo processo è stato presentato come ammantato da
improbabili leggende e da ugualmente improbabili "miracoli".
Esso fu analizzato criticamente per la prima volta, in notevole
dettaglio, da un ex-prete protestante inglese, William Stewart
Ross, che pubblicò i suoi risultati sotto lo pseudonimo di
"Saladin" verso la fine del XIX secolo (17). Un
eccellente studio scientifico del processo di conversione del
monoteismo latente a monoteismo esplicito è stato fatto da un
altro studioso inglese, Morton Smith (18). Nella sezione che
segue si darà un esposto dei risultati di questi due studiosi.
La storia del pensiero monoteista da Mosè a Esdra alla luce delle ricerche: Stewart Ross e Morton Smith
Già il Ross aveva fatto notare che gli stessi autori che
avevano scritto la cosiddetta Bibbia nel V secolo a.C., vi
avevano incluso certe storie che rendevano del tutto probabile
che il testo fosse, se non interamente almeno in massima parte,
un'invenzione. Mosè avrebbe messo i suoi scritti dentro alla
cosiddetta "arca dell'alleanza", con proibizione
assoluta di guardarvi dentro. Sotto Salomone (X secolo a.C.)
qualcuno comunque vi avrebbe guardato dentro, senza trovarvi
niente. Circa tre secoli e mezzo dopo, un certo sacerdote Ilchia
affermò di averli visti, ma dopo di lui non sembra che ci siano
stati altri a dire di averli visti. E nel V secolo a.C.,
Esdra, con l'aiuto di uno stuolo di scribi, avrebbe proceduto a
riscrivere i testi antichi, in mezzo a uno straordinario contorno
di fatti miracolosi. Questa storia è accettata anche dai i Padri
della Chiesa; e il testo di Esdra (peraltro scritto in modo
pochissimo chiaro e aperto a ogni tipo di interpretazione)
divenne il Vecchio Testamento ufficiale - sia per gli ebrei che
per i neojahwisti cristiani.
Le ricerche condotte nel XX secolo permettono di compiere una
storia abbastanza dettagliata di quale fu il vero sviluppo
storico dello jahwismo fra il suo abbozzo mosaico e la sua
concretizzazione a Babilonia nel V secolo a.C.; al riguardo, ci
riferiamo in primo luogo al testo di Morton Smith. Fra il XII e
il V secolo a.C. le genti ebraiche, stanziate in Palestina, sono
da vedersi, almeno in prima approssimazione, come normali: era
politeiste e il mostro lunare Jahweh occupava nel pantheon un
posto non superiore a quello di Baal, Astarte e altri dèi
paleosemitici. Ma in tutto quel periodo serpeggiò fra gli ebrei
un "movimento d'opinione" che favoriva il ritorno al
mosaismo puro, cioè al culto esclusivo di Jahweh. Questo
movimento faceva presa soprattutto fra la borghesia commerciale e
finanziaria più o meno agiata e aveva scarsa risonanza fra il
popolo in generale. I suoi rappresentanti di spicco
furono i profeti, individui fanatici e gretti che uno psichiatra
ebreo, già nel 1910, non esitò a definire degli psicopatici.
Aggiungendo che fu una maledizione per l'umanità che le loro
vedute contorte fossero arrivate e essere prese non solo sul
serio, ma come canoni di condotta (19) - qui sia
soltanto aggiunto che la scomposta e sconvolta "spiritualità"
dei profeti non trova riscontro se non in determinate
manifestazioni bantù (non si dimentichi che la popolazione
ebraica aveva una componente africana). Ma fino al V secolo anche
i profeti ebbero scarsa influenza sulla generalità della
popolazione.
Questa situazione venne a cambiare con l'occupazione
babilonese. I babilonesi deportarono a Babilonia quei gruppi
sociali che nelle terre a loro sottomesse - una delle quali era
la Palestina - erano a loro ostili. Fra gli ebrei, a loro ostili
erano gli adepti del movimento "solo Jahweh"; i quali,
deportati a Babilonia e avulsi dal resto della popolazione,
svilupparono quella strana e perversa idea - il babilonismo -
secondo la quale Jahweh era "unico" e il resto degli dèi
"inesistenti". Verso la metà del V
secolo Babilonia cadde sotto la Persia, e gli esuli furono
rispediti alle loro terre di origine. In Palestina ritornarono i
mosaisti (adesso babilonisti) capeggiati da un certo Esdra, i
quali - forti adesso dell'appoggio politico persiano - imposero
il monoteismo jahwista sulla popolazione ebraica della Palestina,
non senza trovare una notevole resistenza: i samaritani - pure
essi ebrei - non si lasciarono mai piegare.
Fu sotto Esdra - e dopo sotto Neemia - che il Vecchio Testamento fu scritto nella forma in cui esso è ancora tenuto per valido da tutti gli jahwisti. La sua stesura fu strutturata con lo scopo specifico di assicurare il potere a una determinata classe sociale e politica. In massima parte esso fu inventato di sana pianta; in minor misura esso fu basato su testi più antichi, alcuni di origine ebraica e altri mutuati in giro e poi raffazzonati a seconda che sembrò conveniente. In particolare, i Salmi sono una collezione di inni a Baal (dio paleosemitico) di cui gli originali sono stati scoperti a Ugarit (Libano) e poi decifrati dai semitologi (20): questi inni furono scopiazzati e dedicati a Jahweh.
Caratteristiche psicopatologiche degli autori del Vecchio Testamento e del dio in esso descritto: Erich Glagau
Se il Vecchio Testamento non ha quasi valore come documento storico - essendo esso un prodotto fatto su misura con fini specifici, e nella stesura del quale non ci si peritò di falsificare di tutto, quando ciò sembrò giovare allo scopo - esso dà un'idea molto chiara della mentalità paranoica di chi lo scrisse e, di riflesso, del tipo di "dio"che ne risulta, dotato di una psicologia alquanto contorta.
La descrizione più calzante del medesimo ci sembra quella
data dallo scrittore francese conte di Lautréamont, nato Isidore
Ducasse: " ... vidi un trono, fatto di escrementi umani e
d'oro, sul quale troneggiava, con orgoglio idiota e col corpo
ricoperto da un drappo fatto di biancheria di ospedale male
lavata, colui che dice di essere il creatore'" (21). Nell'insieme,
da quanto risulta dal Vecchio Testamento, Jahweh si presenta come
un despota semitico lubrico, osceno ed abbietto, che ha creato
l'uomo per poter pavoneggiare davanti a lui la sua scellerata
potenza e per avere uno schiavo da torturare e umiliare, sul
quale far cadere unira del tutto irrazionale, becera e
imprevedibile.
Per incominciare - e questo risulta in modo chiaro dalle analisi
di Morton Smith - il Jahweh esdrico presenta aperte
caratteristiche omosessuali. La sua qualità di "dio geloso"
è quella dell'amante omosessuale per il suo "amico del
cuore", il popolo ebraico; col quale la relazione è quella
che ci può essere fra l'omosessuale attivo e quello passivo. Il
"popolo di dio" è il suo prosseneto.
Erich Glagau (22) ha compiuto un'insuperata analisi del Vecchio
Testamento, sviscerandone sia le assurdità che la qualità
scostante. Ed effettivamente, come florilegio di aneddoti
raccapriccianti, pornografici, sordidi e contrari a ogni buon
costume (dal punto di vista di un'umanità normale), non esiste
alcun altro testo che si spacci per "religioso" il
quale gli possa reggere confronto - e che inoltre abbia pretese
moraleggianti.
Qui si indicheranno tre dettagli, particolarmente
significativi:
(a) Nel libro delle Cronache sta scritto che mentire "a
maggior gloria di dio" è lecito - cosa poi ripetuta da
Paolo da Tarso, il "già ebreo" Shaul, nella Lettera ai
Romani. Ora, la liceità della menzogna - anzi, della menzogna
sistematica - oltre che dal Vecchio Testamento, è ammessa solo
dalle popolazioni legate a uno stile di vita totalmente selvaggio
e privo di aspressioni etiche di normale significanza.
(b) Nel libro dei Giudici - e questo è enfatizzato anche da
Mircea Eliade (23) - viene lodato il tradimento dell'ospite.
Questa è un'azione esecranda presso tutti i popoli conosciuti,
non esclusi i più incivili - ma non per gli esdristi.
(c) Il rotolo di Ester: si tratta di una sordida storia (inventata)
di prostituzione minorile nella quale a far da lenone fu uno zio
della detta Ester, la quale, una volta riuscita a conquistare
l'amore del re di Persia, avrebbe fatto da infiltrata nella corte.
Obbediente agli ordini dello zio/lenone, ella sarebbe stata usata
per estorcere al re, mentre era ubriaco, l'autorizzazione per
commettere soprusi contro coloro che erano invisi allo zio/lenone.
Questo, ancora adesso, viene celebrato nella festa ebraica del purim
(nel mese di ottobre). In certi circoli sionisti, la Barbara
Lewinsky (che eseguì quella pubblicizzata fellatio sul
presidente USA Bill Clinton) viene inneggiata come "novella
Ester"(24).
Senza dare altri esempi specifici, vediamo quali sono le
caratteristiche psicopatolgiche di tipo generale che animano
l'esdrismo e che si riferiscono in modo diretto a coloro che lo
inventarono e poi adottarono. Nella sezione seguente si daranno
alcune caratteristiche di tipo strutturale del medesimo che poi
furono trasmesse ai neogeovismi e che, in forma esplicita o
latente - o qualche volte modificate o stravolte a seconda della
diversa psicologia dei popoli - hanno sempre informato la
condotta delle diverse gerarchie ecclesiastiche.
In tutto il Vecchio Testamento c'è una smodata
preoccupazione e un gusto tremebondo per i massacri (ai danni
degli altri). È probabile che le storie disgustose e
raccapriccianti raccontate con riferimento alla conquista della
cosiddetta Terra Promessa siano in massima parte delle
invenzioni, ma illustrano bene quello che ai relatori e ai loro
epigoni sarebbe piaciuto che fosse successo e che, al momento
opportuno, sarebbero contentissimi di ripetere - e che,
effettivamente, hanno sempre fatto quando le circostanze li hanno
messi nelle condizioni di infierire sui non-ebrei, meglio ancora
se per interposta persona.
Come fenomeno psicologico speculare si ha forse da
vedere l'ossessione di sentirsi perseguitati e, nei tempi
contemporanei, l'"olocaustismo"(25): un determinato
tipo umano, ossessionato dal desiderio inappagato di perseguitare
e sterminare gli altri, finisce col pensare che anche tutti gli
altri nutrano le stesse idee nei suoi riguardi. Il modo
in cui i cristiani presentarono i primi della loro religione come
dei perpetui perseguitati - molto spesso falsificando i fatti -
è un'altra forma della medesima psicologia.
L'attitudine ipocrita del "giusto" - poi divenuta
comune agli jahwisti delle più varie confessioni - fu presto
abbinata alla paranoia del "popolo eletto". Ha da
vedersi come naturale che, sia pure per vie subliminali, chi
"sappia" di essere fra coloro che hanno la fortuna di
trovarsi nel novero degli "eletti" dal "dio vero e
unico" adottino un'attitudine di disprezzo e di sufficienza
verso coloro che invece, obnubilati dall'ignoranza o dalla
testardaggine, si attaccano a culti o a idee "false" (secondo
loro, "irreali").
Nel contempo, siccome tutto dipende dalla volontà arbitraria di quel fantomatico Dio Unico dalla psicologia semitica, non ci si può sentire se non dei privilegiati perché egli ci ha fatto la "grazia" di includerci fra i suoi adoratori - e cioè di far parte del suo "popolo eletto". Adesso come adesso, nei circoli sionisti, la spiegazione ufficiale del perché dell'antisemitismo nei tempi storici è che siccome gli ebrei sono il popolo eletto, gli altri sentono invidia per quella straordinaria posizione e quell'invidia si traduce in odio e in persecuzioni (26).
Invece è vero che l'attitudine strafottente del 'giusto' non
poteva non suscitare l'irritazione di chi con lui aveva la
disgrazia di essere a contatto: a ciò si dovettero le
persecuzioni contro ebrei, cristiani e anche musulmani (al giorno
d'oggi, ad esempio, in India sta montando un crescente astio
contro quella parte della popolazione che è di religione
musulmana, forse la quinta parte del totale). Obiettivamente,
comunque, è da notarsi che il concetto di "popolo eletto",
in origine esclusivamente ebraico (né allora poteva essere
altrimenti) è stato mutuato da cristiani, musulmani, marxisti e
megacapitalisti. La differenza dagli ebrei è che se
questi ultimi sono (oggi) "eletti" solo per nascita,
nelle religioni neoebraiche lo si può divenire per cooptazione,
per "conversione" - più o meno volontaria (questo
fatto si sarebbe rivelato gravido di conseguenze per la modernità).
Questo porta necessariamente alla considerazione del fenomeno
del missionarismo - fenomeno spesso diverso dal proselitismo.
Come missionarismo si intende la prassi dell'imporre ad altri il
proprio paradigma religioso (e non
necessariamente la propria religione - vedi gli ebrei). Il
cristianesimo e il marxismo usano preferibilmente i metodi
incruenti, ma se necessario si valgono di quelli cruenti. L'islam
preferisce la cosiddetta "guerra santa", ma chi si
sottomette con le buone è comunque accettato.
Nel caso degli ebrei, la cosa va in modo diverso. Jahweh ha promesso loro il dominio su di tutti i non-ebrei (nel Vecchio Testamento e ancora di più nel Talmud). Perciò il fatto che ci siano ancora delle genti che si incaponiscono a non vedere in loro l'immagine di "dio" è qualcosa di incomprensibile e di insopportabile e che grida vendetta. Ne segue che la loro forma di missionarismo (un missionarismo che non è proselitismo) consiste nel voler sottomettere tutti, facendone degli schiavi, togliendo loro i loro beni e umiliandoli al massimo, fino a farli obiettivo di sevizie sessuali.
Fino a poco più di mille anni fa, gli ebrei esercitarono
anche il missionarismo proselitistico: nell'Arabia meridionale e
in Etiopia, dove c'erano i "falascià" o "ebrei
negri" (V-VI secolo d.C.) e nel Caucaso - VII secolo d.C. -
dove si ebbe la conversione dei chazari, che adesso vengono a
essere la maggioranza degli ebrei. Col calvinismo, in
tempi più recenti, essi reclutarono anche un notevole numero di
europidi. Se i moderni calvinisti non sono diventati ebrei non è
perché non vogliano, ma perché essi non vengono da questi
accettati, in quanto, presentandosi come 'cristiani',
possono rendere all'establishment sionista dei servizi
molto maggiori che presentandosi apertamente per quello che
realmente sono: degli ebrei. A titolo di curiosità, è
un fatto che un tempo i falascià erano molto più numerosi di
oggi, fino a costituire una percentuale considerevole della
popolazione etiopica totale. Ma il loro insopportabile
atteggiarsi a "giusti" finì per infastidire tutti gli
altri negri, che un giorno ne fecero una carneficina: fu il
pogrom panetiopico del 1609 (27).
Alla casistica del missionarismo (proselitistico o meno)
è legata quella delle guerre religiose. Prima dell'avvento dei
monoteismi, le guerre religiose erano assolutamente sconosciute.
Guerre, naturalmente, ce n'erano state anche allora e per mille
motivi, però mai per cause religiose. Lo stesso
Tommaso d'Aquino proponeva fra le possibili guerre giuste, dopo
la legittima difesa, quelle che si fanno contro i "principi
pagani" che si oppongono a che i missionari cristiani vadano
a indottrinare i loro sudditi.
Qui salta agli occhi la situazione paradossale e
illogica di un Dio onnipotente e creatore del mondo, che fa
appello alle sue "creature" per imporre la Sua volontà
nel mondo. Questo assurdo probabilmente non fu mai percepito dai
semiti, per i quali la logica non è mai stata una preoccupazione.
Quando invece questa problematica - e altre affini - fu
trasferita in Europa, tramite il cristianesimo, essa diede
origine a controversie senza fine, avendo anche conseguenze
pratiche spesso tragiche.
Specificità strutturali veterotestamentarie
Jahweh ha pretese "morali". In ciò egli si dimostra profondamente diverso dagli dèi veri, quelli che un'umanità normale percepiva come nude forze cosmiche e che come tali erano al di là del bene e del male. Siccome la morale non è e non può essere se non un fatto associativo, che si riferisce all'interazione del singolo con gli altri (l'"unico" di Max Stirner non ha una morale né ha bisogno di averla), Jahweh non può se non riflettere la morale di coloro che lo inventarono - da Mosè a Esdra, passando per la serqua psicopatica dei profeti. Ne risulta la morale del parassita, di colui che vive all'interno di società di delinquenti e che ha un certo comportamento verso il resto dei ladri ("lupo non mangia lupo", per ragioni di necessità) e uno diverso verso l'umanità normale, per "volontà di dio" statuita a essere sua vittima.
Nel Vecchio Testamento si dà già un'importanza
impressionante al fatto usura - il prestito di denaro a interesse
- cosa che nessun altro popolo si era mai sognato di includere in
testi di tipo religioso. Quanto al Decalogo, improntato
dall'omosessuale gelosia del "dio" che lo avrebbe
trasmesso, esso è per uso interno del "popolo eletto".
La morale decaloghista, come ha osservato August Vogl (28), in
fondo non contiene se non precetti che erano generalmente
accettati da tutti i popoli civili (e anche da tanti non
classificati come tali): la pretesa jahwista di originalità e di
superiorità morale rispetto ai codici etici degli altri è
un'altra tipica arroganza.
C'è anche il masochismo del "peccato originale", cioè
della maledizione ereditaria che il despota semitico Jahweh
impone sulle sue "creature"/prosseneti, e alla loro
progenie, per tutta l'eternità. Questo viene accettato da esse
con masochistica voluttà e in modo del tutto naturale solo fino
a tanto che si tratti di un insieme di elementi particolarmente
abbietti. A popolazioni che, in fondo, avrebbero avuto una natura
migliore, questa autentica depravazione è stata fatta accettare
attraverso secoli di lavaggio del cervello. Quando si è
convinto qualcuno che è "colpevole" e che quella sua
colpa egli deve "espiare", si può fare con lui quasi
tutto ciò che si voglia (e l'assuefazione alla condizione di
"colpevole" è istillata con l'istruzione religiosa a
tutti i monoteisti).
La porta è quindi aperta per convincere le genti - attraverso
opportuna "educazione" - di essere ereditariamente
"colpevoli" non solo del peccato di Adamo ed Eva, ma
anche di altri: un "peccato originale" si accumula
sull'altro. Si può quindi procedere a manipolare i "colpevoli"
- psicologicamente indeboliti - per umiliarli e per sfruttarli
politicamente ed economicamente (vedi la Germania, e lintera
Europa, dopo il 1945).
Il Vecchio Testamento sancisce che il "segno di
riconoscimento" per gli eletti di Jahweh sarà la
circoncisione. Questa antica e ripugnante pratica - lo
documenta Mircea Eliade (30) - è caratteristica da tempo
immemoriale di due aree culturali: l'Africa nera e la Papuasia,
che sono anche quelle dove il cannibalismo si è manifestato
sempre in maniera generalizzata e pandemica (31). Ma non
dimentichiamo che il coacervo di popoli che sottostavano a Mosè
includeva elementi negroidi. Questa pratica è stata ripresa da
moltissimi neojahwisti: i musulmani e i calvinisti (32).
Nei testi esdrici si manifesta un livido odio per la
natura: contro la natura si scagliano in modo particolare i
profeti, secondo i quali essa non è soltanto qualcosa di
inanimato, ma anche di impuro: "puro", secondo loro, è
solo il deserto (33).
Qui vale l'osservazione che la cesura introdotta dallo jahwismo fra l'umano e il sacro "dio" è ridotto a una sinistra e irreale ipostasi - porta, a fil di logica, a vedere nella natura nient'altro che una cosa. In un suo interessante articolo, Paolo Galante argomenta convincentemente che qualsiasi forma concepibile di monoteismo (e quindi non solo lo jahwismo) deve condurre a vedere nella natura una "cosa" (34). Ma l'odio per la Natura - che non è soltanto indifferenza verso di essa - è un tratto esclusivamente veterotestamentario. Non senza relazione con l'odio per la natura è la svalutazione della donna e la demonizzazione della sessualità, che poi, in àmbito cristiano, raggiunse talora estremi aberranti (35). La donna diviene un essere tragico e maledetto, della quale non si può fare a meno ma che, in fondo non è altro che un oggetto e per la quale non vale alcun riguardo né come madre, né come sorella, né come figlia - e tanto meno come compagna.
La prostituzione delle proprie donne è un tema che, a partire
dal "padre" Abramo, ricorre spesso nel Vecchio
Testamento; e la "donna come oggetto" è l'attitudine
normale nelle società jahwiste radicali come quelle musulmane. Qui
si ha forse da vedere un fatto di compensazione psicologica: un
"uomo" che non val niente (ma, più che di uomo, nel
senso superiore della parola, qui si dovrebbe parlare del lenone
e dell'aguzzino), si afferma su chi, fisicamente e
psicologicamente debole, non sa difendersi. Nelle
società normali (politeiste) l'uomo e la donna avevano invece
ruoli diversi e separati ma di pari dignità. La svalutazione
della donna si è inserita nella storiella dell'espulsione dal
"paradiso terrestre".
L'idea del tempo lineare - anzi segmentario, con un inizio e
una fine - è anch'essa prettamente veterotestamentaria (36). Il
tempo vero, come lo percepirono i pagani e come lo teorizzò
Platone, è ciclico: e l'allontanamento dal senso di comunità e
di appartenenza alla natura non poteva se non stravolgere anche
la percezione del tempo. Il tempo lineare, che è il livello più
basso e limitato in cui esso possa essere percepito - il divenire
disanimato e amorfo - è adesso imposto come unica esperienza
temporale.
Questo si è poi riflesso, per vie traverse, in tante manifestazioni moderne, E la combinazione del concetto segmentario del tempo con la paranoia del 'popolo eletto' porta all'idea messianica. Alla fine dei tempi, un non meglio definito o definibile personaggio - il cosiddetto messia, lUnto del Signore - verrà a rendere "giustizia" agli "eletti" e a vendicarsi su tutti quelli che si sono incaponiti a non vedere in loro il riflesso di "dio" su di questa terra e che quindi non si sono fatti volontariamente loro schiavi. Questa promessa aiuta a rendere la vita sopportabile a chi vive continuamente arso da un odio infinito; e questa è, in termini laici, anche la promessa marxista.
Conclusioni
Si sono elencate delle caratteristiche esplicite del veterotestamentarismo, il quale però ne ha anche di implicite che sarebbero venute a galla più tardi a seconda che lo jahwismo trascese l'ebraismo per trasformarsi anche in altri indirizzi religiosi. L'inizio della moltiplicazione dei geovismi ha da porsi nel I secolo d.C. con l'insorgere del cristianesimo.
L'ebraismo, adesso non più l'unica forma di jahwismo, continuò
per la sua via di speculazione teologica con la produzione del
Talmud (37), un libro in cui la mania contabile usurocratica
veterotestamentaria è portata all'estremo. Il Talmud,
che è divenuto il testo dottrinale di base dell'ebraicità
sionista contemporanea, è fatto per circa la metà di ricette
contabili (per calcolare interessi, su come prestare denaro, ecc.)
e per il resto di improperi, insulti e maledizioni verso tutti
coloro che non sono ebrei. Esso, attraverso il calvinismo, non
mancò di avere una sinistra influenza sulla storia europea dopo
la riforma protestante.
Questo capitolo ha dato un'idea della genesi storica del
monoteismo jahwista e delle sue caratteristiche intrinseche, che
fino ai nostri giorni, sono rimaste del tutto invariate. Il resto
di questo testo si riferisce allo sviluppo del monoteismo in
Europa - cioè, in linea di massima, al cristianesimo nelle sue
sfaccettature e derivazioni anche laiche. D'ora in poi, i
riferimenti ai monoteismi extraeuropei (ebraismo, islam) saranno
chiamati in causa solo quando sia indispensabile.
FASI INIZIALI DEL CRISTIANESIMO E SUE SPECIFICITA STRUTTURALI
Note introduttive
Col cristianesimo, nel I secolo d.C., il monoteismo trabocca
in Europa; prima nelle terre dell'Impero Romano e poi nell'Europa
settentrionale e orientale. Il cristianesimo è quella religione
neoebraica che, a torto o a ragione, fa riferimento, come
fondatore, all'enigmatica figura di Gesù Cristo, riguardo alla
quale, prima di entrare nell'argomento, vale la pena di compiere
due precisazioni.
In primo luogo, c'è chi sostiene che egli non sia mai esistito.
Gesù non sarebbe stata una persona storica, ma una figura
concettuale attorno alla quale si sarebbe sedimentata tutta una
serie di idee e di correnti di pensiero che, a quei tempi,
circolavano in Palestina e nellintero mondo ellenistico.
Questo lavoro di sintesi si sarebbe avverato nel I secolo d.C. a
opera di una schiera di personaggi non particolarmente
individuati o identificabili (38). La cosa non è impossibile,
ma, a parere dell'autore, poco probabile: è più ragionevole
supporre che un qualche "Gesù" (il termine Yehoshua
non è tanto un nome proprio, ma vale, in effetti, "Salvatore")
sia veramente esistito, anche se che cosa abbia detto e fatto non
è facilmente accertabile (39). Sta di fatto che oltre il 95% di
quel che si sa (o si crede di sapere) sulla vita e sull'opera di
questo personaggio è quanto sta scritto nel Nuovo Testamento. Il
poco restante sta nei numerosi Vangeli Apocrifi, nel Talmud e in
qualche brevissima citazione in opere storiche di quei tempi (ad
esempio, le Antiquitates judaicae di Giuseppe Flavio).
In secondo luogo, c'è chi afferma che a fondare il
cristianesimo non fu Gesù (sia egli esistito oppure no) ma Paolo
da Tarso: questo punto di vista fu sostenuto anche da Friedrich
Nietzsche (40). Qui basta intendersi: lex Shaul fu
certamente il propagandista e il missionario principe di questa
nuova dottrina (ed ebbe una notevole influenza sullo sviluppo
della sua impalcatura teologica). Senza di lui, con ogni
probabilità, essa non avrebbe varcato i confini della Palestina,
dove sarebbe stata presto dimenticata. Ma difficilmente si può
vedere in lui un "fondatore". L'idea secondo la quale
Paolo da Tarso avrebbe diffuso il cristianesimo in Europa mosso
da una consapevole intenzione di fiaccarla psicologicamente e di
prepararne così la rovina (egli sarebbe stato un agente
dell'odio ebraico per i romani e gli altri europei) è certamente
suggestiva ed è stata sostenuta da molti, ma, per ora, è
impossibile da verificare.
È inconcepibile, comunque, che il cristianesimo avrebbe
potuto affermarsi se il mondo classico non fosse già entrato in
decadenza - nello stesso modo che la dottrina marxista mai
avrebbe potuto affermarsi se prima non ci fosse stata la
rivoluzione industriale e liberale. Il cristianesimo, quindi, non
fu la causa della caduta dell'Impero Romano, ma, una volta
affermatosi, ne fu certo il principale coadiuvante.
Componenti strutturali del cristianesimo; suo collocamento e diffusione nel mondo ellenistico e mediterraneo
Premesso quanto sopra, nel cristianesimo quale esso si affermò
nei primi due-tre secoli dopo Cristo si hanno da vedere almeno
tre componenti:
(a) Un veterotestamentarismo teologico di base - a ciò
sicuramente non fu estranea l'influenza di Paolo da Tarso e dei
discepoli di Gesù, tutti ebrei.
(b) Le correnti religiose e intellettuali che circolavano in
tutta l'area mediterranea nei tempi ellenistici.
(c) La psicologia individuale di "Gesù Cristo". In
quest'ultima si ha da vedere una elaborazione del tutto personale
di alcuni dei motivi religiosi del Mediterraneo arcaico,
mescolati a idee veterotestamentarie.
Gesù sarebbe stato oriundo dalla Galilea, e perciò
proveniente da una zona lontana da Gerusalemme nella quale dei
concetti di origine pagana non erano, probabilmente, ancora del
tutto obliterati.
Nel I secolo d.C. - cioè nei tardi tempi ellenistici - nell'area
del Mediterraneo i culti religiosi avevano subito un lento ma
reale rivolgimento (41) - non dissimile a quanto poteva essere
successo quattro-cinque secoli prima nell'Indostan, con la
decadenza dell'India vedica. Con la decadenza genetica -
e, in parte, con l'estinzione biologica - di quelle che erano
state le aristocrazie indoeuropee dell'Ellade e dell'Italia ai
tempi del loro maggiore splendore, si dette anche la decadenza
delle religioni uraniche e luminose che erano state loro
appannaggio. Risorsero, più o meno modificate, quelle
che erano state le forme di culto del Mediterraneo arcaico
preindoeuropeo.
Le classi più colte si chiusero spesso e volentieri
in ripieghi più filosofici che propriamente religiosi, sul tipo
dello stoicismo o dell'epicureismo; mentre la religiosità
popolare si rivolgeva a dèi o dee sul tipo di Dioniso, Orfeo,
Attis, Iside, Cibele.
Questi erano numi vicini all'uomo; erano i suoi
consolatori e molto spesso avevano una storia triste e patetica -
loro astro rappresentativo non era più il sole, ma la luna.
Nel contempo, essi erano divinità che "avevano
vinto la morte", nel senso che erano morti - o erano stati
uccisi e non di rado smembrati - e poi erano risorti. Essi si
dirigevano all'uomo come singolo e non più come membro di una
sana comunità; e a lui - attraverso appropriati riti iniziatori
- promettevano una sorte migliore nell'Aldilà.
Erano gli dèi del crepuscolo della civiltà e della
grandezza umane: si era ai tempi della decadenza del mondo
classico. Una conseguenza delle conquiste di Alessandro Magno e
poi di Roma avevano abituate le genti ad avere una visione
universalistica e intellettualistica, secondo la quale anche gli
dèi potevano essere dappertutto gli stessi e ricevere lo stesso
culto in ogni luogo.
Dioniso è dio e uomo allo stesso tempo, in quanto figlio
di Giove e di Semele, una mortale. In suo onore si celebravano
'eucaristie' nelle quali la carne del dio veniva divorata nella
fattispecie della carne cruda di vittime sacrificali, che qualche
volta venivano straziate vive nel contesto di cerimonie che
spesso assumevano un andamento orgiastico e menadico - né si
escludono pratiche cannibaliche (42). Dioniso, inoltre,
viene ucciso dai Titani e poi fatto risuscitare (si tratta di un
tema iniziatico enormemente arcaico). Qui ravvisiamo gli
antecedenti di tratti culturali nettamente pre-cristiani che, in
questo caso, di semitico non hanno niente. In particolare, la
carne della vittima è anche la carne del dio - siamo di fronte a
una genuina transustanziazione -, senza che ci sia contraddizione
fra le due diverse nature.
Si tratta di una percezione pagana enormemente arcaica (43):
ad esempio, in certi riti sciamanici l'officiante, rivestendosi
della pelle di un animale, diveniva quell'animale, senza cessare
di essere se stesso. Anche nel concetto di Trinità si ha forse
da ravvisare un'arcaica influenza del Mediterraneo pre-semitico (del
tutto risibile e in malafede è l'accusa ebraico-islamica secondo
la quale i cristiani sarebbero politeisti - adorerebbero tre dèi,
il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo - e il concetto di Trinità
sarebbe un sotterfugio verbale per nascondere tale politeismo). La
Trinità non è una triplicità di dèi (come poté esserlo, ad
esempio, la triade paleoromana Juppiter, Mars, Quirinus), ma un
dio o una dea che presenta tre "aspetti" diversi. Ed è
documentato come diversi dèi - e più ancora: dèe, soprattutto
se ctonie e infernali, tipo Persefone ed Ecate - del Mediterraneo
arcaico avessero dei genuini caratteri trinitari (44).
Il citaredo Orfeo, nel cui culto confluì poi il dionisismo
per commistione con l'apollinismo, scende nel regno dei morti e
vi ritorna da trionfatore: egli ha qui delle ovvie
caratteristiche sciamaniche, come sciamano fu Gesù quando
discese negli inferi per scardinarvi le porte (su di questi
interessanti risvolti sciamanici di Gesù non ci si potrà
soffermare in questa sede). - Cibele, prima del cristianesimo e
poi in concorrenza con esso, promette ai suoi iniziati una non
meglio definita "immortalità". In onore di Cibele e di
Attis si celebravano eucaristie di pane e vino (nelle quali poi i
Padri della Chiesa vollero ravvisare delle parodie, ispirate dal
demonio, dell'eucaristia "vera"). Osiride
veniva ucciso e poi risorgeva dai morti: sua madre, Iside,
prototipo della mater dolorosa,
ispirò in massima parte il culto mariano promosso poi dalla
Chiesa cattolica.
È facile ravvisare nel Gesù consolatore e sofferente, che
promette l'immortalità a chi in lui confida, Dioniso, Orfeo,
Attis, Cibele, Osiride. E quello è proprio il Gesù in cui
confidano e hanno sempre confidato i cristiani semplici del
popolo.
Nei territori europei dell'ex Impero Romano il cristianesimo
si diffuse appunto contrabbandando la figura di uno sconosciuto
profeta semitico e camuffandolo da Dioniso ecc. Più avanti la
Chiesa ricorse a un altro intelligente sotterfugio, che fu quello
di trasformare in santi gli dèi adorati localmente in tutte
quelle zone che venivano raggiunte dalla sua influenza (45).
La "lunarità" della Chiesa cattolica fu constatata in
modo acuto e descritta molto bene da un autore tedesco
dell'anteguerra, Wilhelm Erbt (46) - che ebbe una qualche
influenza anche su Alfred Rosenberg (47) - il quale contrappone
il cristianesimo, nella sua manifestazione cattolica, alla "solarità"
degli antichi germani.
Ma sia Erbt che Rosenberg risentivano dell'influenza
di Heinrich von Treitschke (48), che non permise loro di rendersi
conto che invece le cose non stavano in modo tanto diverso
neppure nell'Europa germanica. Nell'Europa
germanica precristiana - e non soltanto in quella - esisteva
l'idea dellHeilbringer
(il "portatore di salute/salvezza"), fatto documentato
in dettaglio da Hermann Güntert (49) soprattutto per due aree di
cultura indoeuropea: il mondo germanico e quello iraniano. Si
tratta del lato benigno della divinità, più che di un dio o di
un particolare insieme di dèi (non dimentichiamo che gli dèi
pagani, nude forze, erano spessissimo ambivalenti nelle loro
possibilità e nelle loro manifestazioni), al quale i mortali
potevano rivolgersi quando abbisognavano di consolazione. È, con
qualche variazione di forma, la stessa casistica degli dèi
consolatori e patetici del Mediterraneo arcaico; e fu lHeilbringer
(lo dice esplicitamente anche il Güntert) a fare da battistrada
e da copertura a Gesù.
Per quel che riguarda la psicologia personale di Gesù
Cristo, il tratto fondamentale - già perfettamente individuato
da Friedrich Nietzsche (50) - fu l'amore pandemico. Gesù amava
ogni essere umano di un amore possessivo e quasi incomprensibile,
che non tollerava di non essere corrisposto, al punto da
inventare l'inferno per spedirci coloro che non volessero amarlo.
Ne risulta che proprio dall'amore evangelico è
risultato uno dei concetti più orrendi che mai menti contorte
abbiano potuto pensare, che è quello dell'inferno e della
dannazione eterna. Qui sia notato che, forse, il
sentimento dell'amore pandemico non è un'idea cristica del tutto
originale (anche se nella sua rielaborazione in parallelo col
concetto dell'inferno si ha da vedere qualcosa di unico,
scaturente da una mente possente e distruttiva). Nella
Palestina del I secolo d.C. dovevano aleggiare ancora delle forme
residuali dell''inconscio collettivo' appartenenti al Medio
Oriente presemitico (51), mondo ginecocratico e lunare, dominato
da forme di erotismo a orientamento femminile, spesso ossessivo,
pandemico e insaziabile (l'orgia e il cannibalismo sono
manifestazioni inseparabili dalle dèe arcaiche dell'amore). Non
è da escludersi che questo aspetto religioso arcaico si sia
riflesso nella concezione cristica dell'amore pandemico.
Ma nel cristianesimo - di massima in ragione dell'influenza
di Paolo da Tarso - ci sono commistioni esdriche, sia sul piano
dottrinale che su quello della speculazione teologica.
"Dio" (unico) rimane Jahweh; e la teologia cristiana è
sempre rimasta ebraica. In particolare, il cristianesimo
ha messo a profitto l'idea messianica - idea esclusivamente
veterotestamentaria - proclamando che Gesù era il messia e che
il 'regno di dio' era già incominciato, dopo la sua morte e la
sua risurrezione, con la fondazione della Chiesa. Questo non
impedì che, per almeno un secolo, ci fossero parecchi cristiani
che si aspettavano l'arrivo trionfale di Cristo (promessa nel
libro dell'Apocalisse), con conseguente esaltazione dei 'giusti'
e messa degli altri alla tortura eterna; attitudine che ebbe
anche risvolti pratici gravi quando certuni, "per dare una
mano a Cristo", accelerando la distruzione di Questo Mondo e
la venuta del Regno, procedettero a causare l'incendio di Roma ai
tempi di Nerone (52).
Sviluppi ed effetti teratologici del cristianesimo in Europa: Louis Rougier
La maggior parte degli sviluppi teratologici, nella
teoria e nella prassi, che il cristianesimo innescò in Europa
furono dovuti al fatto di avere imposto una teologia ebraica -
che per gli europei era e rimane fondamentalmente incomprensibile
- a delle menti non semitiche: questo fu visto per la prima volta
in modo del tutto chiaro da Louis Rougier (53).
Moltissimi dei bisticci e delle incomprensibili sottigliezze
nelle quali si esaurirono i teologi medioevali derivano proprio
da questo fatto. Tante cose che venivano semplicemente e
acriticamente accettate da dei semiti, per i quali la logica non
è mai stata una preoccupazione, causarono poi torture mentali
senza fine agli europei. - Qui forse, ha anche da ravvisarsi una
"metafisica della bestemmia" (i politeisti imprecavano,
ma non bestemmiavano mai). Jahweh, il dio veterotestamentario poi
divenuto ufficialmente anche dio cristiano, non può essere se
non un nemico di ogni uomo normale - normale in senso europeo.
Quindi la tendenza a esprimere verbalmente la propria collera
verso quell'oscura forza torturatrice riconosciuta come cagione
consapevole di ogni male.
Degli importanti punti di dibattito sono quelli che derivano
dall'"onniscienza di dio" un dio'(ipostasi del tutto
antropomorfa della peggiore specie) che conosce sia l'animo delle
sue creature che il passato e, soprattutto, il futuro.
Ne risultano subito due considerazioni della massima importanza per la tranquillità psicologica del credente europeo: quella del libero arbitrio e quella della predestinazione.
Tutte e due ruotano attorno al fatto che Dio conosce
il futuro e che perciò tutto ciò che la creatura possa fare ha
solo la parvenza di libertà; mentre il suo destino
nell'oltretomba era previsto fin dall'inizio dei tempi.
Qui, sia notato, si presuppone - senza, di massima, rendersene
conto - un dio tanto soggetto alla categoria kantiana tempo
quanto una qualsiasi creatura (e su di questo implicito ma
disconosciuto presupposto giocò l'"eresia" ariana).
Inoltre, il concetto di predestinazione presuppone un dio
antropomorfo, autoconsapevole e dotato di una sua psicopatica
psicologia. Quindi, non c'entra con quello di destino, proprio di
un'umanità normale, che invece non è assolutamente
incompatibile con la libertà individuale. La discussione di
questo argomento porterebbe troppo lontano; l'autore lo ha già
fatto in un altro suo testo (54).
La Chiesa cattolica ha cercato, con scarso successo, di
aggirare l'argomento; i protestanti, invece, accettano
esplicitamente il servo arbitrio e la predestinazione, facendo
così dell'uomo un fantoccio tragico e abbietto. La
"soluzione" cattolica (55) sta nell'attribuire a Dio
una psicologia interamente schizofrenica per cui c'è una
scissione assoluta fra la Sua volontà e la Sua conoscenza. Così
egli agisce come se non sapesse quali saranno le conseguenze
della sua grande potenza - senza però darsi minimamente cura
delle spaventose conseguenze delle sue azioni. Questa
"spiegazione" ha però avuto uno scarso effetto sul
piano pratico. Fermo rimane il fatto che siamo tutti "predestinati",
magari all'inferno, senza che ci possiamo far niente. La
dottrina della predestinazione fu sostenuta con particolare
veemenza da Agostino da Ippona, uno dei fondatori della teologia
ufficiale cristiana, le cui idee la Chiesa si tirò dietro per
tutto il Medioevo ignorandone - o facendo finta di ignorarne - le
implicazioni, fino a che esse esplosero ai tempi della riforma.
Egli sosteneva che quello che conta è la "grazia", che
Dio concede con infinita bontà, ma soltanto a chi vuole. -
Agostino da Ippona fu un elemento incredibilmente contorto, le
cui pazzesche idee sull'amore furono messe a profitto perfino
dalla fantascienza (56).
Le deduzioni che si possono fare dai dati storici
disponibili (57) sembrano indicare che, almeno fino al VI - VII
secolo, la paura dell'inferno e il senso di impotenza che si
aveva davanti alla possibilità di quell'orribile sorte fu - dopo
la povertà - la principale causa di suicidi in tutta la storia.
La Chiesa proibì il suicidio, in modo parziale nel VI secolo e
in modo totale verso la fine del VII secolo - facendolo esso
stesso causa di dannazione certa - per arginare una crescente
pandemia di morti volontarie. Prima (almeno in certe loro
diramazioni nordafricane), le chiese cristiane erano arrivate a
raccomandarlo.
Altre tragiche e insolubili problematiche vennero originate dalla più grande delle contraddizioni: il Jahweh "buono" Il concetto di un "dio buono" - questo è stato indicato, fra altri, da Hermann Güntert - è interamente non-ebraica: il dio veterotestamentario non è e non può essere se non il despota semitico, arbitrario, sadico e crudele. L'abbinamento della qualità di "buono" a quel figuro non poteva se non portare a ulteriori dilacerazioni dottrinali e turbe psichiche, sfocianti spesso nella pazzia. Un dio buono (e non schizofrenico) difficilmente poteva essere accettato come creatore e reggitore di un mondo che, obiettivamente, era lontano dall'essere perfetto, e di un'umanità le cui qualità morali non sempre si adeguavano a quel modello che poteva essere visto come ideale (anche dal cristianesimo).
Ne seguì un'ipertrofia dell'attenzione verso il
diavolo (58), ipostasi del male. Siccome Jahweh ha di per sé
molte caratteristiche infernali, il diavolo (un concetto, forse,
di origine iraniana, poi raffazzonato dai semiti a modo loro)
aveva, nel Vecchio Testamento, un'importanza relativa. Adesso a
lui, il "ribelle contro dio", lAvversario per
eccellenza, ma al quale un dio incomprensibile dà mano libera,
vennero addebitate tutte le malefatte che sarebbe stato
disdicevole attribuire al dio buono
non esclusa la
creazione. Fu così che vennero a insorgere tutta la
congerie delle sètte gnostiche, poi il manicheismo (59) e i loro
prolungamenti medioevali che furono i catari e gli albigesi, la
cui ribellione contro la Chiesa fece scorrere in Europa fiumi di
sangue (60).
Non è accidentale che la Chiesa abbia sempre visto negli
gnostici gli "eretici" per eccellenza, perché essi
rifiutavano radicalmente la teologia giudaica adottata dal
cristianesimo ufficiale, vedendo in Jahweh non Dio (il "dio
buono"), ma il demonio - il dio maledetto del Vecchio
Testamento. Naturalmente anche loro soggiacevano ai contorti
paradigmi concettuali scaturenti dal monoteismo: non si può
parlare di una "soluzione" gnostica alla pazzia ebraico-cristiana.
Essi si invischiarono in una serie di fantasmagoriche
elucubrazioni per scaricare dal "dio buono" la
responsabilità del male nel mondo (anzi, della creazione di un
mondo abborracciato), molto spesso presentandolo come un ingenuo
che, teoricamente onnipotente e onnisciente, non sa come gestire
queste sue doti e finisce col farsi abbindolare dal diavolo,
molto più furbo di lui (61). Altri gnostici misero mano
a certi sviluppi di origine iraniana secondo i quali il bene e il
male sono di necessità coesistenti nell'Urgrund
ontologico dell'universo e che la loro differenziazione avviene
in modo più o meno automatico col trascorrere del tempo. Zurvan,
fondo ontologico dell'universo, poi identificato col tempo, porta
in sé il bene e il male e dà loro forma a seconda del suo
trascorrere. Qui si ha da vedere un tentativo - forse
inconsapevole - di uscire dal monoteismo stretto per approdare a
qualcosa d'altro, che però non è ancora uno schietto e sano
politeismo.
- A titolo di curiosità, ancora adesso ci sono
dei tentativi concettuali di scaricare Dio dalla responsabilità
del male, menomandone però la libertà: il male sarebbe di
necessità l'immagine speculare del bene - o la sua "ombra"
- e vi deve stare accanto. Quindi Dio, nel creare il mondo, non
poteva fare a meno di immettervi anche il male, pur senza
desiderarlo. Un moderno zurvanista, il teosofo Edgar
Dacqué (62) arriva a parlare del "dolore di Dio"
quando, creando il mondo, sa di stare dando esistenza a qualcosa
di abborracciato, senza però potere evitarlo. Questa linea di
ragionamento fu seguita anche da uno zurvanista nostrano (piemontese),
Luigi Pareyson, il quale, a quanto sembra, a differenza dei
medioevali albigesi, godette del crisma della Chiesa (63).
Tutta un'altra problematica sorge dal concetto di "incarnazione".
Finché a incarnarsi era Dioniso - un dio obiettivo - non ci
potevano essere problemi di alcun genere; ma le cose cambiano
quando a incarnarsi è Jahweh. La teologia cristiana vuole che
con quell'atto 'dio', attraverso l'autosacrificio - sacrificio, more
semitico, di se stesso a se stesso - si sia riconciliato con
l'uomo - di lui nemico fin dai tempi della cacciata dal paradiso
terrestre. Indipendentemente dal fatto che si tratta di qualcosa
di assolutamente incomprensibile, si sarebbe trattato di una
riconciliazione del tutto relativa, se ancora innumerevoli umani
(fra i quali i non battezzati) rimanevano comunque destinati
all'inferno.
Ma l'"incarnazione" ha anche altre
implicazioni: secondo lo studioso Marcel Gauchet (64) fu proprio
l'idea di "incarnazione" a sancire in modo definitivo
l'estraneità di 'dio' dal mondo - ammesso che 'dio' potesse
essere ancora più estraneo al mondo che il Jahweh del Vecchio
Testamento - perché il contatto fra l'uno e l'altro avrebbe
avuto luogo una sola volta in tutta l'eternità. Con l'"incarnazione'"
Dio - visto adesso come paradigma di tutto ciò che è più che
umano, miracoloso, magico - sarebbe diventato quel tenebroso
Totalmente Altro (Ganz Anderes) descritto dal teologo
monoteista Rudolf Otto (65). "Bandire il magico dal mondo"
- ecco un'importante tendenza del monoteismo, che porta a una
spaventosa mutilazione psicologica della quale soffre l'umanità
monoteistizzata. Joseph De Maistre (66) diceva in
proposito che quando i moderni dicono che gli antichi dovevano
essere ben ingenui perché vedevano fantasmi dappertutto, non si
accorgono che peggio stanno loro che non ne vedono in nessuna
parte. Con le idee del Gauchet sembra manifestarsi
d'accordo Albert Caraco, un ebreo turco autodichiarantesi
europeo, morto suicida dopo avere concluso la stesura del suo Breviario
del caos (67).
Altre due caratteristiche del monoteismo cristiano che si
manifestano fin dall'inizio del Medioevo sono la tendenza alla
teocrazia e il razionalismo.
La tendenza alla teocrazia è latente nel Vecchio Testamento, e
affiora continuamente nella storia ebraica: non sorprende dunque
che sia stata ereditata dai nuovi monoteismi, tutti abramitici.
Teocratico è ed è sempre stato l'islam e teocratico è il
moderno sionismo; mentre teocrazie furono quella di Calvino a
Ginevra nel XVI secolo e dei calvinisti in Olanda, in Scozia e
nelle colonie anglofone d'America (ancora adesso l'America, a ben
vedere le cose, è una teocrazia calvinista). Tendenze
teocratiche ebbe la Chiesa cattolica nel Medioevo (68), che
esplosero nel XI secolo sotto il megalomane, e di ebraica
ascendenza, papa Gregorio VII e che portarono l'Europa a versare
torrenti di sangue, soprattutto in Italia e in Germania, con le
guerre fra guelfi e ghibellini (peggiori furono soltanto le
guerre fra cattolici e protestanti causate dalla cosiddetta
Riforma).
Epigono di Gregorio VII fu Bonifacio VIII (quello dell'"ego Caesar, ego Imperator"), a cui, per fortuna, andò male. È invece vero che fu dalle lotte fra il papato e l'Impero che prese forma il sinistro concetto di "criminale di guerra" introdotto alla fine del Duecento da uno dei più grandi criminali di tutti i tempi, il papa Innocenzo IV, in occasione del processo a Corradino di Hohenstaufen a Napoli, fatto con la connivenza del reggistrascico, lenone e nel contempo usufruttuario delle mene papali Carlo d'Angiò.
Quanto al razionalismo cristiano, esso è una necessaria conseguenza del fatto che il dio ufficiale cristiano - Jahweh - è totalmente irreale. Avulso da qualsiasi esperienza esistenziale del sacro, esso non può fare riferimento se non alla nuda intellettualità. Da qui la tendenza, fin dagli inizi, del cristianesimo di presentare se stesso come la religione che "soddisfa la ragione" (pretesa che più avanti si sarebbe ritorta contro esso stesso); mentre le religioni autoctone venivano presentate come grossolane superstizioni e le rispettive mitologie irrise come storielle per bambini (69). Gli dèi obiettivi venivano descritti come demoni maligni (70) e i loro sacerdoti come "stregoni". Questo vizio lo mantennero tutte le chiese cristiane fino ai tempi contemporanei, quando si trattò di evangelizzare i selvaggi, spesso con conseguenze orribili e catastrofiche sulla loro società e la loro psiche: casi di pazzia collettiva, suicidi in massa, scomposte ribellioni accompagnate da massacri, ecc. Anche nel migliore dei casi, l'evangelizzazione portò invariabilmente il selvaggio a essere uno spostato, un risentito, un maledetto.
Impreparazione psicologica pagana a fronteggiare il fanatismo monoteista
Non è questo il luogo per addentrarci nello sviluppo storico della cristianizzazione dell'Europa: prima dell'Impero Romano, poi di quella settentrionale e orientale. Si è già parlato dei culti ellenistici e dell'idea dellHeilbringer che , rispettivamente, fecero da paravento allo jahwismo nell'Europa meridionale e occidentale e in quella settentrionale, rispettivamente. Sta di fatto che l'evangelizzazione - il perché l'Europa poté diventare monoteista - rimane alcunché di incomprensibile: questo fu riconosciuto perfino da un conosciuto massone, e meno conosciuto ebreo, il conte Coudenhove-Kalergi (71).
Certo è che l'evangelizzazione fu portata a termine da una schiera di missionari abilissimi e fanatici - e il fanatismo, di radice ebraica, era qualcosa che il mondo normale era psicologicamente impreparato a fronteggiare. Il paganesimo, visceralmente tollerante, non seppe fronteggiare una turba di fanatici aggressivi e intelligenti che guardavano il martirio - non la morte eroica - come qualcosa che avrebbe loro procurato una "vita eterna" di una qualità assolutamente incomprensibile per i politeisti. Difatti, i tentativi di difesa del mondo classico nei riguardi dello jahwismo furono sempre goffi e insufficienti, come i sussulti del leone che, tormentato dalle iene, ogni tanto si rivolta e ne fa strage, ma che non porta mai a fondo la sua opera di liberazione. Le uniche "persecuzioni" che abbiano avuto una qualche pretesa di sistematicità furono quelle di Decio (anno 250), Valeriano (257-258) e Diocleziano (303-305); e nessuna fu portata fino in fondo, perché la persecuzione religiosa era qualcosa di assolutamente alieno alla mentalità pagana.
Riguardo all'impreparazione psicologica dei politeisti per fronteggiare il fanatismo monoteista, vale la pena di riportare la risposta che Moctezuma, penultimo imperatore degli aztechi, dette a Hernán Cortés dopo che questi ebbe tentato di spiegargli i vantaggi del cristianesimo, religione dell''amore', sulla sua religione sanguinaria, il cui culto era basato sui sacrifici umani. Moctezuma rispose a Cortés che i suoi discorsi potevano sembrare anche giusti, ma che lui non vedeva la necessità di cambiare gli dèi esistenti, che funzionavano egregiamente, per delle novità d'importazione. Essi facevano crescere le messi; facevano piovere quando era necessario; regolavano il corso del sole, della luna e delle stelle; si prendevano cura degli umani, la cui anima, dopo la morte, era da essi accompagnata al luogo della sua dissoluzione finale, il baratro sopra il quale volteggiavano le farfalle di pietra (72). Quindi: che bisogno c'era di andare in cerca di novità? - Moctezuma era ovviamente un vir ingenuus : un uomo limpido, trasparente e fondamentalmente nobile che non avrebbe sfigurato accanto alle migliori figure della Roma patrizia.
Il cristianesimo nell'Europa settentrionale e orientale
Per conquistare l'Europa meridionale e occidentale,
Gesù Cristo si presentò come Dioniso; nel mondo germanico come Heilbringer.
Inoltre, dopo Costantino, il poter presentarsi come la religione
dei romani, con tutto il prestigio che la romanità si era
conquistata nel trascorso dei secoli, fu un aspetto che giovò
enormemente al cristianesimo. Ma quando ebbe il coltello
per il manico, l'istituzione monoteista non si peritò di usare
la "guerra santa" - more islamico - per "salvare
l'anima" di chi non si piegava.
I Sassoni furono massacrati a migliaia da Carlo Magno; i
cavalieri teutonici imposero il cristianesimo, in modo atroce, in
Prussia e in Lettonia. In Polonia, per sottomettere le comunità
contadine ancora politeiste, il governo monoteista non si peritò
di usare in maniera indiscriminata truppe cèche e tedesche. In
Russia, col medesimo scopo, si impegnarono truppe polacche e
perfino mongole; in Svezia, truppe norvegesi.
Non poche comunità autoctone baltiche e slave si ridussero a fare una vita di privazioni incredibili nella profondità dei boschi - il bosco di Augustów fu fra le più importanti di queste nuove "catacombe" - fino all'estinzione, pur di non tradire i loro dèi in favore del mostro semitico, Jahweh. Solo la Lituania, in ragione di una serie di circostanze storiche e di una caparbia volontà di resistenza, poté rimanere politeista fino alla fine del Medioevo: essa divenne ufficialmente monoteista nel 1387 (la Lituania settentrionale solo nel 1430). La "conversione" fu una scelta dell'allora granduca di Lituania, che così poté optare per la corona della Polonia, riuscendo in tal modo a difendere il paese contro l'ormai insopportabile pressione dei cavalieri teutonici. Ma la maggioranza della popolazione lituana è ancora adesso pagana (73).
Natura dilacerata della Chiesa medioevale: Carl Atzenbeck
Già all'inizio del Medioevo in Europa si era delineata una
situazione religiosa che, con poche variazioni, andò avanti fino
alla riforma protestante; situazione il cui andamento dilacerato
e schizofrenico è stato mirabilmente descritto da un autore poco
conosciuto, Carl Atzenbeck, che scrisse un prezioso volume che
però non ha avuto traduzioni (74). Le idee di Atzenbeck hanno un
certo parallelismo col primo Evola (75), anche se non risulta che
i due autori si conoscessero.
Da una parte c'era una vita quotidiana che, rispetto ai tempi del
paganesimo, non era molto cambiata. La religiosità
popolare e nobiliare continuava a essere pagana; e fu proprio
allora che insorse quello che Mircea Eliade (76) chiamò il
"cristianesimo cosmico", che altro non fu se non
religiosità politeista ammantata di terminologia cristiana. Ad
esempio: l'albero cosmico divenne la croce; il centro del mondo,
il Golgota; le vicende mitologiche, i cui personaggi erano stati
dèi e dee, ebbero adesso per attori santi e sante; ecc. Tutte
queste manifestazioni, sempre avversate dalla Chiesa, non
portarono che sporadicamente a persecuzioni vere e proprie. La
caccia alle streghe non incominciò se non nel Quattrocento,
quando già tirava aria di "riforma" e continuò fino
al Settecento, con uguale intensità nei paesi cattolici e in
quelli protestanti.
La vita di tutti i giorni seguiva ancora i ritmi cosmici e -
aspetto importantissimo - il tempo non era ancora morto, come
morta non era ancora la natura. Queste cose resero l'umanità
europea medioevale ancora normale - e perciò non monoteista,
anche se nominalmente tale. L'Europa medioevale fu tanto normale
che il concetto ciclico della storia fu adottato, nel XI secolo -
senza noie da parte delle autorità ecclesiastiche - perfino da
Ildegarda da Bingen (fino a recentemente una santa di spicco
della Chiesa cattolica). Ildegarda proponeva cicli storico-cosmologici
che iniziavano ogni volta con una "cacciata dal paradiso
terrestre" e si concludevano periodicamente con la venuta di
un non meglio definito "Anticristo" (77).
Nel contempo, nell'oscurità dei chiostri e delle scuole
teologiche, si rafforzava e si consolidava una contorta teologia
a struttura interamente veterotestamentaria: non è, in fondo,
sorprendente che a lanciare e poi a sostenere la riforma
protestante siano stati - oltre a borghesi, strozzini e nobili in
bancarotta - i monaci.
Il Vecchio Testamento divenne una bomba a orologeria
all'interno dell'Europa, bomba custodita sottobanco dalla Chiesa
e che sarebbe esplosa nel Cinquecento con spaventosi risultati.
Terribile, al riguardo, è stata la responsabilità della Chiesa,
che pure il potere l'avrebbe avuto per mettere ufficialmente il
Vecchio Testamento dove avrebbe dovuto sempre essere stato:
nell'immondizia. Né si può addurre che le autorità
ecclesiastiche non si rendessero conto della pericolosità dei
testi veterotestamentari e del fatto che la loro divulgazione
avrebbe potuto portare a conseguenze imprevedibili e certamente
dannose per un apparato ecclesiastico che si incaponisse a vedere
in quel lubrico ciarpame la "parola di dio". Difatti,
durante tutto il Medioevo la Chiesa ostacolò la traduzione e la
divulgazione della cosiddetta Bibbia (78).
Quanto agli ebrei, la Chiesa cristiana cattolica fu per loro
la garanzia di poter rimanere e incistirsi in Europa, dove
acquistarono un crescente potere finanziario - e questo
contrariamente a quanto viene adesso proclamato con la complicità
del cattolicesimo postconciliare (79). Paolo da Tarso aveva
assicurato che - in data imprecisata ma comunque prima della
"fine dei tempi" - gli ebrei si sarebbero convertiti:
perciò, intanto, si poteva anche sopportarli (a differenza di
pagani, manichei, musulmani, ecc., per i quali non c'era alcuna
garanzia di conversione). Nel contempo, i teologi, con in
testa Tommaso d'Aquino, affermavano che la presenza degli ebrei,
con i loro riti jahwisti precristiani, era utile, perché (non è
chiaro come) essa forniva una prova tangibile della validità del
Nuovo Testamento (80). In realtà, nella straordinaria indulgenza
e tolleranza nei riguardi degli ebrei dobbiamo ravvisare che -
teologicamente - il dio ebraico e quello cristiano coincidono.
Lo scrittore anglofono Ralph Perier (81) vide questo molto chiaramente quando propose il seguente esperimento concettuale: immaginiamo che nell'Europa medioevale fosse arrivata una turba di - ad esempio - malesi, di religione - putacaso - buddista, con lo scopo esplicito di esercitare l'usura. Sarebbe stato interessante vedere quanto tempo sarebbe passato prima che fossero spediti per direttissima all'"origine". Questo, mai successe agli ebrei.
LA RIFORMA PROTESTANTE E LA MODERNITA
Note introduttive
La riforma protestante ebbe luogo perché, date le premesse, non poteva non avere luogo. Jahweh aveva attraversato il Medioevo nascosto dentro ai chiostri e dietro alle cattedre universitarie della Chiesa, non venendo mai alla luce del sole se non camuffato da Dioniso o da Heilbringer, tramite l'interposta persona di Gesù Cristo.
Quando i tempi furono "maturi" (sviluppo della classe borghese e indebolimento della nobiltà feudale e dell'Impero come conseguenza delle mire teocratiche del papato), il dio lebbroso del Vecchio Testamento ebbe modo di lasciar cadere il guscio di incrostazioni pagane che lo avevano occultato per manifestarsi in tutto il suo nudo orrore. Questo, tramite una serie di personaggi dalle personalità possenti e criminali, principali fra i quali Lutero e Calvino (82). C'è una straordinaria analogia fra questi due figuri e il fondatore dell'islam, l'arabo Maometto (83). Con Lutero Jahweh si palesa nel suo volto veterotestamentario; con Calvino fa un passo addizionale e si manifesta nel suo volto talmudico: egli diviene, esplicitamente, il 'dio' degli usurai. Joseph De Maistre (84) ravvedeva nel protestantesimo l'"islam dell'Europa"; e già alla fine del Cinquecento l'ecclesiastico spagnolo Sebastián Castellón faceva notare la virtuale identità fra calvinismo e ebraismo (85). Questo fu confermato poi dai massimi studiosi di storia e di psicologia del fenomeno capitalista, quali Max Weber e Werner Sombart (86).
Conseguenze storiche della Riforma
Una delle prime conseguenze storiche della Riforma fu quella
di immergere di nuovo l'Europa in un bagno di sangue - le guerre
di religione sono un fenomeno, come s'è già detto,
esclusivamente monoteista - che durò due secoli (XVI e XVII),
dalle quali risultò un'Europa dilaniata e biologicamente
impoverita.
Riguardo a queste guerre, valgono delle specifiche osservazioni.
È già stato indicato che i principali fautori della Riforma
furono, oltre ai nobili in bancarotta, i borghesi e gli
strozzini, i monaci e gli "intellettuali". Gli strati
popolari, in tutta Europa - allora in massima parte formati da
contadini - nutrirono fin dall'inizio una notevole diffidenza per
il movimento riformista. Quelle stesse genti, somaticamente e
psicologicamente ancora sane, che mille anni prima avevano
resistito alla cristianizzazione, spesso all'ultimo sangue, ora
intuivano che la Riforma era un altro slittamento nella stessa
teratologica direzione; e vi si opposero.
Il bando cattolico aveva degli enormi vantaggi di
generalizzato consenso popolare quando si venne alle armi, eppure
la "controriforma" riuscì solo a metà. E la ragione
va quasi sicuramente ricercata nel fatto che ormai si era
arrivati a tempi nei quali la finanza contava anche
nell'organizzazione e nell'andamento delle guerre; e il denaro (nella
fattispecie dei metalli preziosi) era in grandissima parte in
mano agli ebrei, i quali lo impegnarono massicciamente e
continuativamente per favorire il bando protestante. Anche se uno
studio specifico, completo e dettagliato, su questo argomento non
esiste, le notizie - per quanto parziali - raccolte da coloro che
si sono interessati del lato meno evidente della storia di quei
tempi (87), non lasciano dubbi ragionevoli al riguardo.
Né la Chiesa cattolica uscì da quei tempi senza risentirne gli
effetti. Essa cessò definitivamente di essere la Chiesa
medioevale per divenire la Chiesa della Controriforma: in Europa,
un apparato burocratico e moralistico, che fuori dall'Europa si
lanciò a fondo in uno sfrenato missionarismo. Comunque, essa fu
condannata a una perpetua battaglia di retroguardia contro il
protestantesimo e contro tutte le forze da esso scatenate (progressismo,
razionalismo, ecc.) e i movimenti da esso innescati (massoneria,
ragnatela internazionale del commercio, ecc.).
Neppure allora la Chiesa seppe decidersi a estirpare
da sé il tumore maligno del Vecchio Testamento e, a lunga
scadenza, finì nel disfacimento implosivo che seguì il
'concilio Vaticano II' - anche quello, date le premesse, da
vedersi come inevitabile. A partire dagli anni Sessanta del XX
secolo, la "Chiesa riformata di Roma" (riformatori,
dello stesso stampo di Lutero e Calvino, furono i papi Giovanni
XXIII e, soprattutto, Paolo VI), si è apertamente intruppata con
tutte le altre Chiese riformate a sostegno della modernità.
Avendo toccato questo argomento, vale la pena di dire una
parola a proposito dei "cattolici tradizionalisti".
Pure rispettabilissimi, essi si collocano in una posizione non
dissimile a quella dei pensatori controrivoluzionari degli inizi
dell'Ottocento - Joseph De Maistre, Juan Donoso Cortés, ecc.,
anch'essi cattolici. Essi vorrebbero ripristinare la Chiesa della
Controriforma - o magari quella medioevale - un po' come i
controrivoluzionari avrebbero voluto ripristinare lAncien
Régime.
Qui, forse, non si rendono conto (e questo dovrebbe essere chiaro da quanto appena esposto) che si tratterebbe di retrocedere di un passo per ripristinare una situazione che portava in sé i germi della successiva caduta; guadagnando forse un po' di tempo ma senza risolvere niente. È nostra opinione che se un risollevamento ci potrà essere per l'umanità civile in un ipotetico futuro, esso non potrà essere accompagnato se non da un rifiuto assolutamente totale di qualsiasi forma di monoteismo, soprattutto se di stampo jahwista.
Natura monoteista della modernità
Dopo la Riforma, un poco alla volta, Jahweh è arrivato a dominare il mondo in modo pressoché totale. Ci sono molte opere che descrivono la storia degli ultimi cinque secoli, interpretata in chiave involutiva, sia dal punto di vista cattolico tradizionalista che da quello dei cicli storico-cosmologici (88) - né qui ci si addentrerà nell'argomento.
Sia soltanto notato che tutti questi critici storici si sono concentrati sui fatti più ovviamente spaventosi che hanno portato alla modernità contemporanea (rivoluzione francese, guerre napoleoniche, il 1848, la rivoluzione russa, le due guerre mondiali), scivolando volentieri sopra la rivoluzione industriale, fatto meno visibilmente traumatico ma che quanto a conseguenze fu ancora più grave di tutte le guerre e rivoluzioni.
Fu proprio attraverso la rivoluzione industriale che
il tessuto sociale dell'Europa fu snaturato fino alle radici,
rendendo possibili anche gli sviluppi violenti che hanno dato
forma politica alla modernità. Modernità che è, a ben vedere
le cose, la condizione più anormale in cui mai, nella storia
conosciuta, si sia venuta a trovare la specie zoologica Homo
sapiens. Tutte le manifestazioni della
modernità sono riconducibili alla vittoria dello jahwismo puro.
E, sotto questo punto di vista, tenteremo di dare uno schizzo,
necessariamente incompleto, di queste manifestazioni.
La sostituzione del tempo vivente con quello lineare (anzi,
segmentario), abbinata all'idea messianica per cui si deve
necessariamente arrivare a un'era di "giustizia", non
poteva se non dare origine alla strana idea del progresso,
secondo la quale la storia ha un "senso": un senso
obbligato verso qualcosa di "migliore". Che la storia
avesse un senso (la preparazione alla venuta di Cristo), era già
stato affermato da Agostino da Ippona (89); e anche Ambrogio da
Milano (90) aveva abbozzato una teoria del progresso, mai
smentita dalla Chiesa, la quale, anche in tempi contemporanei (e
nonostante Riforma, massoneria, anticlericalismo dilagante,
ateismo imperversante, ecc.) ha insistito sul fatto che il
progresso - innegabile, si affermava e si afferma - costituisce
una dimostrazione pratica della "ragionevolezza" del
messaggio cristiano (91). E messianiste sono state e sono
le tendenze filosofiche che hanno improntato gli sviluppi sociali
dopo la riforma e, in modo quasi esclusivo, dopo la rivoluzione
industriale. Su di questo si riverrà fra poco: sia qui
subito notato che il capitalismo (risultato diretto della riforma
protestante nella sua fattispecie calvinista), dopo aver
cominciato lo scardinamento dell'ordine tradizionale e creato le
masse proletarie, fatte di diseredati e di miserabili che di
umano spesso non avevano che la parvenza, le reclutò, per mezzo
del marxismo, perché facessero da ascari per completare la sua
opera (92).
Fu per mezzo dello sciacallo marxista che si demolì quel che rimaneva di vita spirituale e, in gran parte, di cultura, in Europa; che si portò a termine la decolonizzazione; che si sabotarono le riforme sociali (gli arcinemici del primo e più grande riformatore sociale, Bismarck, furono i 'socialisti'); che si poterono portare a termine con successo le aggressioni contro l'Europa del 1914-1918 e 1939-1945. Perché il capitalismo contò sulla più perfetta delle quinte colonne.
A funzione espletata anche il "socialismo reale" fu spedito nell'immondizia (con la perestrojka, anni Ottanta), ma i marxisti, perso il pelo ma non il vizio, continuano a espletare le stesse funzioni: ai tempi della stesura di questo scritto (anno 2000) il capitalismo internazionale punta massicciamente sui "socialisti", che gli fanno da agenti politici e da braccio armato. E anche il capitalismo è escatologico: tramite la penna del suo "Marx", il nippo-americano Francis Fukuyama, esso proclama la fine dei tempi storici sotto il segno del denaro (93).
Max Weber (94) insiste sul punto che uno scopo importante della riforma calvinista fu quello oggi praticamente raggiunto - di bandire la magia dal mondo. Questo, però, era già implicito nello jahwismo e, se mai, fu rafforzato dal cristianesimo, come è stato sostenuto dal citato Marcel Gauchet.
Non a caso il cristianesimo tenne a presentarsi sempre come la religione che "soddisfa la ragione", di contro alle "superstizioni" e alle "fiabe per bambini" dei pagani. Si trattava perciò di portare fino alle ultime conseguenze quella lobotomia psichica dell'uomo, per farne da un essere normale aperto sia all'esperienza del sacro che alla percezione della natura nella sua interezza (includente, cioè, tutta la sfera dei fenomeni psichici), un mutilato dell'anima e dello spirito.
La "ragione" calvinista è quella di questo
mutilato dello spirito, chiuso nella sua esperienza sensoriale di
veglia imposta adesso come unica esperienza possibile: Mircea
Eliade parla dell'umanità normale come pre-giudaica (95). Da
questa presa di posizione non poteva alla lunga che risultare un
appiattimento esistenziale e culturale. Esclusa ogni pulsione
superiore, l'esistenza umana ha adesso come centro di gravità
ideologico lo stomaco e l'intestino: quindi anche la storia (e
qui sono pienamente d'accordo i due pseudonemici capitalisti e
marxisti) non può essere altro che storia dell'economia. Si può
a buon diritto parlare di una intestinalizzazione della storia.
In questo medesimo filone si inserisce l'attacco contro
la religione - fatto da gente ormai incapace di capire che cosa
fosse la religione, nel senso superiore della parola. "La"
religione, vista come "superstizione", viene adesso
attaccata dal punto di vista della "ragione" - non
esclusa la bibliolatria, unica "religione" di cui
questi "razionalisti" avessero conoscenza. Si
incominciò, con la massoneria, a parlare di un dio razionale (il
cosiddetto Grande Architetto Dell'Universo) per finire col negare
ogni dio (leggi: ogni realtà metafisica). Hegel lo mise
nell'improbabile regno dei "concetti puri", Marx nel
dimenticatoio assoluto. I testi che attaccano la religione dal
punto di vista della "ragione" - e spesso e volentieri
perché essa "non avrebbe fatto niente per migliorare la
qualità morale dell'uomo", si sprecano (96).
Ma anche in un mondo "razionale" - il
razionalismo essendo l'immagine speculare dello jahwismo (97) - e
quindi autoproclamantesi areligioso, sopravvivono gli aspetti più
ripugnanti dell'esdrismo. L'ipocrisia dei "giusti" e
degli "eletti" adesso fa tanta parte della forma
mentis e della terminologia contemporanea
che nessuno ci fa più caso ("la guerra che metterà
fine a tutte le guerre", ecc.).
La conosciutissima ipocrisia anglosassone (98) è di origine veterotestamentaria e deriva dal fatto che l''Anglosassonia' è divenuta negli ultimi quattrocento anni la struttura portante della bibliolatria. È un autore inglese, Walton Hannah, a dichiarare che il "pelagianismo" (la confusione fra morale e religione) è un vizio particolarmente comune fra gli anglosassoni e che a ciò si deve il fatto che fra di loro la massoneria abbia avuto tanta diffusione (99).
È di origine ebraico-anglosassone quella ripugnante ipocrisia
secondo la quale il mondo abbisogna di "purificazione",
preferibilmente per mezzo del fuoco - magari col fuoco atomico,
secondo gli scienziati che preparavano le bombe atomiche nel 1945
(100), ma anche col napalm, ecc. L'americano Jonathan Schell (101),
dopo avere descritto in dettaglio gli orrori di un'eventuale
guerra atomica e fatto gli appropriati confronti con Hiroshima,
Nagasaki, Dresda, trae ammonimenti morali dalle sofferenze delle
vittime e, per concludere, si disfa in lamenti su tutt'altre
"vittime", quelle dell'"olocausto", lanciando
accuse escatologiche contro il nazionalsocialismo (e mai contro
coloro che di Hiroshima, Nagasaki, Dresda, furono responsabili).
Fu gente del genere quella che innalzò un 'monumento alla pace'
proprio a Hiroshima.
La dottrina della morale unica (implicita nel monoteismo
jahwista, resa esplicita da Immanuel Kant) ha avuto un riflesso
nel missionarismo che seguì la colonizzazione: missionarismo
cristiano, marxista, capitalista (102) - e anche islamico. Esso
spianò la via alla problematica planetaria del Terzo Mondo, che
adesso pende come una spada di Damocle sul mondo contemporaneo.
Il missionarismo cristiano e marxista fa da battistrada
all'islam, una forma di jahwismo perfettamente adatta alle masse
risentite del Terzo Mondo. Lo Jahweh biblico fa da portiere alla
sua immagine coranica, Allah (103). Nel contempo, la
dottrina dell'amore pandemico, alla quale negli ultimi secoli è
stato assuefatto l'europeo medio e che viene ossessivamente
martellata dalle Chiese - confessionali e laiche (104) -, e del
peccato (quello del colonialismo, che deve essere "espiato")
rende i paesi europei sempre più impreparati a difendersi
dall'invasione delle turbe di colore. È stato osservato
dal citato Ralph Perier che proprio adesso che alla mitologia
cristiana non crede più nessuno, le utopie sociali implicite nel
messaggio cristico dell'amore pandemico hanno acquistato
un'inaudita virulenza.
La scienza moderna è di origine giudeo-cristiana. Su di
questo si trovano d'accordo sia anticristiani radicali quali
Atzenbeck ed Evola (105), sia tanti atei fondamentalisti, fra i
quali Jacques Monod (106). Ma anche moltissimi autorevoli "cattolici
tradizionalisti" (107) non disdegnano di assecondare questo
argomento - probabilmente in parte per convinzione e in parte per
guadagnare così, in un ambiente essenzialmente ostile, una
verniciatura di "rispettabilità" per la loro linea di
pensiero. La scienza moderna, quale essa è, è un tipico
prodotto monoteista.
Quando la natura sia vista come qualcosa di morto, o
comunque di assolutamente estraneo, non si può carpirle i
segreti se non facendo delle necropsie - o magari "mettendola
alla tortura" per obbligarla a rivelarli, secondo
l'espressione di Francis Bacon (108) - eccoci davanti a una
genuina e particolarmente spaventosa forma di magia nera. Ne
risulterà qualcosa di abborracciato e, comunque, anche i "risultati
sperimentali" saranno incastrati, di necessità, in
paradigmi monoteisti (109).
Una sua inevitabile, per quanto strana, conseguenza, risulta
dall'abbinamento del tempo lineare con l'"allontanamento
della magia dal mondo". L'universo, visto come un morto
meccanismo, diviene la creazione di un ipotetico 'dio' che non può
presentarsi se non come un megatecnico che, dopo averlo
fabbricato e avergli dato delle leggi, si è ritirato nellHintergrund,
sullo sfondo, in una condizione di passività, di ozio. Questo fu
il punto di vista di Cartesio, adottato indipendentemente anche
da Edgar Allan Poe nella sua unica opera di divulgazione
scientifica (110).
Questa evoluzione verso il concetto del deus
otiosus è identica, dal punto di vista
strutturale, a quella che, con la medesima denominazione, è
stata ben descritta da Mircea Eliade (111) per il mondo religioso
di tutte le - ormai in massima parte estinte - etnie di infimo
livello del mondo australe: pigmei di ogni tipo, aborigeni
australiani e tasmaniani, fueghini, boscimani, bantù, ecc.
Imboccando la via concettuale verso il deus
otiosus, anche l'umanità europea - che fu
civile, quando era politeista - sembrerebbe essersi messa sul
cammino che porta alla più assoluta barbarie: anzi, quasi
all'animalità.
La tecnologia scaturente da questa scienza non può essere se non
qualcosa di intrinsecamente sinistro (112). Sarebbe il caso di
farla finita con l'idea - da tutti ripetuta, non esclusa la
Chiesa cattolica nei suoi tempi migliori quando era papa Pio XII
- secondo la quale la scienza e la tecnologia non sarebbero, per
loro natura, se non cose assolutamente neutre, il cui uso buono o
cattivo dipende esclusivamente da chi le utilizza.
Gli antichi, invece, avevano sempre ravvisato nella
tecnica qualcosa di potenzialmente pericoloso, che doveva essere
tenuto a guinzaglio per mezzo di appropriati riti e tenendo nei
suoi riguardi un'attitudine di permanente diffidenza (113). E
comunque, l'analisi storica dimostra che il progresso tecnico non
ha mai risolto alcun problema sociale: la tecnica non ha fatto
altro che cambiare le problematiche sociali, senza mai risolverle
e spesso aggiungendovene di nuove.
Sta di fatto che la scienza e la tecnica - quali esse
adesso fattualmente sono - hanno un'intrinseca carica demonica e
un andamento quasi autonomo, consistente in una tendenza a
rendersi, contrariamente a ogni apparenza, indipendenti
dall'umana volontà. Questo, già un secolo fa, era stato visto
da alcuni pensatori particolarmente acuti: Dostoevskij,
Nietzsche, Evola, Spengler (114); ed è stato ripreso da Theodore
Kaczynski ("Unabomber") nel suo Manifesto
(115). - E una tecnologia demonica accoppiata
all'odio veterotestamentario per la natura ci ha portati sulla
soglia del disastro ecologico globale (116). Una tecnologia
scatenata ha finalmente partorito il calcolatore elettronico (il
cosiddetto computer), il
quale ha permesso di portare a livelli inauditi due fra le più
teratologiche tendenze dello jawhwismo: l'irrealismo in
psicologia e il parassitismo in economia. Sull'irrealismo si
parlerà subito; sul parassitismo economico si riverrà più
avanti quando si considererà la problematica del denaro quale
oggetto "magico".
Si è già detto come una caratteristica fondamentale dello jahwismo sia l'irrealtà - quasi una volontà di lobotomia psicologica che delle menti particolarmente perverse hanno sentito non solo verso il sacro ma anche verso tutta quella parte della natura che non ricade nell'esperienza sensoriale di veglia. Questa volontà di lobotomia adesso, con gli ultimi ritrovati dell'informatica, viene estesa anche all'esperienza sensoriale di veglia. Ci sono degli strati sempre più vasti delle popolazioni europidi per le quali lo schermo a raggi catodici diviene - o si vorrebbe che divenisse - la realtà per eccellenza: è la "volontà di virtualità" ("ci si percepisce sempre più come una sinapsi, come un punto di confluenza e di incrocio di flussi di informazione all'interno della "rete"). Questa gente, il cui numero aumenta sempre di più fra i giovani, ormai comunica usando il gergo informatico anche nella conversazione corrente e si costituisce in circolo quasi chiuso, entro il quale si consumano libri e altre pubblicazioni (che però tendono a essere anche quelle "virtualizzate", lette non su carta ma sullo schermo a raggi catodici) praticamente illeggibili per coloro la cui vita non ruoti attorno al calcolatore elettronico e alla televisione (altro ordigno a raggi catodici) - cioè non sia al massimo "virtuale" (117).
Un brillante mediologo ebreo, Neil Postman, prospettava la possibilità che tutta una civiltà potesse entrare in dissoluzione come conseguenza della perdita di contatto con la realtà "reale", sostituita dallo schermo a raggi catodici (118). Il Postman indica gli Stati Uniti d'America come il candidato ideale per questo destino: là ci sono infinite persone che credono davvero che la televisione sia sempre esistita, perché un mondo senza televisione sarebbe inconcepibile.
L'ultima sfaccettatura monoteistica del mondo contemporaneo che affronteremo prima di entrare nelle conclusioni finali è la posizione di preeminenza che in esso ha acquistato il denaro (119). Qui, almeno in parte, ha da vedersi un altro aspetto dell'irrealtà veterotestamentaria, per cui si scambia l'immagine speculare ("virtuale") della ricchezza con la ricchezza in sé (che è necessariamente fatta di oggetti tangibili).
Il denaro, poi, acquista vita autonoma e cresce su se stesso,
attraverso l'applicazione del concetto di interesse, concetto
fondamentalmente immorale perché risultato di una visione
parassitaria dell'economia. Ma al giorno d'oggi, questo sordido e
sinistro concetto è diventato completamente normale e accettato
da quasi tutti. Il denaro virtuale che cresce su se stesso ha però
potere acquisitivo sul mondo reale, venendo a essere una specie
di mostro autonomo che quando cala sul mondo è causa di
spaventose tragedie. E questo mostro non manca di avere i suoi
"sacerdoti" (gli economisti) e i suoi beneficiati (gli
usurai).
Qui si ravvisa, assieme alla casistica del deus otiosus,
un altro parallelo fra la forma mentis del mondo
industrializzato e quella dei selvaggi. Questi, incapaci di
concepire un'economia non parassitaria (sulla natura o su di
altri uomini [120]) hanno visto fin dall'inizio, nel modo più
naturale, nel denaro un oggetto magico, capace di evocare gli
oggetti di consumo; e il cui possesso dava automaticamente
diritto ai medesimi (nessun concetto della proprietà come fatto
etico, conseguenza dell'aver eseguito un lavoro produttivo).
Eccoci dunque davanti al denaro come unico "oggetto magico"
che lo jahwismo non abbia bandito dal mondo; oggetto magico che
Jahweh elargisce ai suoi eletti: i 'giusti', ai quali in tal modo
viene resa palese questa loro condizione e per i quali la
ricchezza è anticamera a questo mondo della gloria che li
attende dopo la morte "in seno ad Abramo". Il povero,
invece - e indipendentemente da quali possano essere le cause
della sua povertà - è un maledetto, la cui vita infelice sulla
terra è un acconto della dannazione eterna che Jahweh, fin
dall'inizio dei tempi, aveva a lui assegnato (121).
EFFETTO DELLA MONOTEISTIZZAZIONE SULL'ANDAMENTO DEL MONDO CONTEMPORANEO E PROIEZIONI PER IL PROSSIMO FUTURO
La "pienezza dei tempi"
Date queste premesse diviene comprensibile quale sia la natura
del mondo - la cui formazione sta oggi avverandosi sotto gli
occhi di tutti - che i "giusti" (gli usurocrati
internazionali) stanno preparando: è il mondo voluto dal 'dio
unico' Jahweh, che segnerà la messianica "pienezza dei
tempi" (122).
(a) A nessuno sarà dato di vivere direttamente del suo lavoro:
ognuno dovrà venderlo a un qualche "datore di lavoro"
dal quale riceverà una paga in denaro col quale si comprerà il
suo fabbisogno. Questa condizione ormai è raggiunta da un pezzo
in tutto il mondo.
(b) Ne segue che chi detiene il denaro - gli usurocrati
internazionali, che sono poi gli azionisti delle banche centrali
- diviene il padrone di quell'immensa mandria di schiavi che,
automaticamente, diviene la popolazione mondiale.
(c) Questo, entro certi limiti, è ancora temperato dalla
legislazione sociale (sempre più limitata e insufficiente) e dal
fatto che, nonostante tutto, gli usurocrati hanno ancora di
bisogno di una certa forza-lavoro per produrre i beni tangibili
che loro (e quasi soltanto loro) godono.
(d) Con la computerizzazione e l'automazione c'è e ci sarà
sempre meno bisogno di forza-lavoro; mentre i "governi"
europei si incaricano di togliere di mezzo la legislazione
sociale a ritmo crescente. Il cittadino riceve sempre meno dallo
Stato; e, alla lunga, non avrà più niente. Ma chi lavora e
produce, le tasse deve continuare a sborsarle, perché esse vanno
a pagare il cosiddetto "debito interno" - cioè, il
denaro delle tasse viene a lui rubato e consegnato per
direttissima agli usurai internazionali che controllano le banche
centrali.
(e) Si arriverà, nelle mire dei 'giusti', a una
situazione nella quale essi, detentori unici del denaro, saranno
i soli ad avere accesso a una cornucopia di beni prodotti per
loro da un apparato industriale interamente computerizzato e
gestito da pochissimi tecnici (gli unici ad avere un impiego, a
loro pagato in denaro, il che a sua volta permetterà loro di
rimediare una discreta esistenza). Fuori, starà la gran massa
dei reietti, ridotti a una miseria quasi inimmaginabile e, alla
lunga, forse all'estinzione per fame, per malattie, per suicidio.
Un assaggio della società che i "giusti" preparano
anche per l'Europa è dato dalle megalopoli terzomondiali.
(f) Naturalmente per dare "stabilità" a quel
sistema bisognerebbe che il denaro - detenuto soltanto dall'élite
usurocratica - rimanesse per forza l'unico mezzo di scambio
possibile. Quindi, ci dovrebbero essere eserciti privati che si
incaricherebbero di impedire che i reietti sviluppassero delle
economie parallele indipendenti, usando un loro denaro diverso e
indipendente da quello detenuto dai "giusti". Nel
contempo, quelle medesime milizie private distruggerebbero l'orto
che qualcuno si fosse azzardato a coltivare per sfamarsi senza
dover usare il denaro, o di uccidergli le galline o il maiale,
ecc. Nussuno potrà più vivere, quando arriverà l'Era
Messianica, se non della carità degli usurocrati - quando
vorranno fargliela - oppure morire di fame.
(g) Una misura di sicurezza importante che i 'giusti'
stanno già prendendo per ridurre al massimo la possibilità di
resistenza contro di loro è quella di americanizzare l'Europa,
immettendovi masse enormi di immigrati di colore. Così squassano
le strutture sociali e distruggono l'identità culturale e
genetica dei popoli europei. Da una popolazione di meticci a
bassissimo livello di intelligenza e senza alcuna cultura essi
avrebbero poco da temere.
Lenin (123) ipotizzava il futuro mondo "socialista" come un'unica e immensa linea di produzione dove tutti avrebbero lavorato indefessamente per lo stesso salario. Nicholas Negroponte (124), uno dei grandi profeti del mondo globalizzato e computerizzato, predice che esso sarà un'unica grande fabbrica automatizzata e computerizzata, tenuta insieme da un'unica rete telematica e che sarà mantenuta ininterrottamente in moto da un personale ricurvo davanti a schermi a raggi catodici. L'unica differenza fra Lenin e Negroponte è che secondo Lenin tutti gli umani sarebbero stati schiavi incatenati a quella monumentale linea di produzione; mentre gli schiavi informatici di Negroponte verrebbero a essere i fortunati ad avere ancora un posto di lavoro e perciò del denaro con cui sopperire al proprio fabbisogno - il resto, starebbero fuori, ridotti al cannibalismo per fame o al suicidio.
Le "linee di catastrofe"
Inutile dire che a questa situazione difficilmente si potrà
realmente arrivare. Indipendentemente dal fatto che, sia pure con
esasperante lentezza, c'è una parte della popolazione europea
che incomincia a svegliarsi, agli usurocrati serve, per un po' di
tempo ancora, una società civile funzionale che, manovrata da
"governi" a loro succubi, faccia da strumento per la
realizzazione del loro piano. Ma anche se il 'regno di dio'
dovesse davvero avverarsi secondo le mire di quei figuri, è
improbabile che potrebbe mantenersi in piedi in un mondo
ecologicamente disastrato e massicciamente criminalizzato.
Nel futuro prossimo (grosso modo fra il 2010 e il 2020),
convergono una serie di quelle che Guillaume Faye (125), con
terminologia mutuata dal matematico René Thom, chiama "linee
di catastrofe", convergenza che non potrà portare se non a
un cambiamento totale della fisionomia planetaria. Ne elencheremo
alcune fra le più importanti, ma la lista non è esaustiva (126).
(a) L'incombente catastrofe ecologica, con le sue tre casistiche
di punta che sono l'effetto serra, la deforestazione equatoriale-tropicale
(con importanti conseguenze per la disponibilità idrica globale)
e la contaminazione generalizzata della biosfera; nonché quella
contaminazione umana che è causata dall'aumento pullulante e
canceroso delle popolazioni terzomondiali. I suoi effetti, già
percepibili, raggiungeranno un andamento vorticoso al più tardi
verso il 2020.
(b) I montanti problemi razziali. Le masse di colore sono
state edotte, da utopisti e buonisti - da marxisti e missionari
monoteisti di essere state "sfruttate" per
secoli dai colonialisti europei e adesso, galvanizzate in primo
luogo dall'islam, vogliono vendetta. Incistite nel tessuto
sociale europeo, esse portano a un generalizzato impoverimento e
alla terzomondializzazione dell'Europa. Questi fenomeni, già in
atto, si aggraveranno nell'immediato futuro a ritmo galoppante.
(c) I problemi sanitari. Questa casistica è legata al punto (b),
in quanto le turbe terzomondiali presenti in Europa fanno da
calamita anche a tutte le patologie del Terzo Mondo - il quale
versa in una condizione sanitaria sempre peggiore. Anche la
catastrofe ecologica è causante dell'apparizione di nuovi morbi
e dell'accelerata diffusione di quelli già presenti.
(d) La destabilizzazione accelerata del Terzo Mondo, con un
numero crescente di guerre interetniche. Queste sono destinate a
essere esportate anche in Europa (e in parte già lo sono).
(e) La criminalità. Anche questa è un problema in parte
relazionato col punto (b), in quanto una microcriminalità
pandemica è del tutto caratteristica del Terzo Mondo. La grande
criminalità organizzata (che ora ha mezzi tecnici e operativi
superiori a quelli della polizia, anche nei paesi civili),
costituisce invece un ramo dell'attività 'commerciale' della
quale, per vie traverse, beneficiano gli stessi usurocrati
internazionali che derubano il pubblico anche per vie "legali".
(f) La crisi demografica europea e l'invecchiamento della
popolazione dell'Europa. La crisi della famiglia è una
conseguenza logica e prevedibile dell'edonismo generalizzato e,
fra gente civile, dell'insicurezza sul lavoro. L'invecchiamento
della popolazione, con tutte le sue conseguenze, è qualcosa che
colpirà l'Europa già nel 2010 circa; e perciò anche se si
dovesse dare adesso (anno 2000) un'aumentata natalità, essa non
verrebbe a essere, nel futuro prossimo, una soluzione. E tanto
meno è una soluzione quella che propongono i "governi"
(in realtà, entità irresponsabili nei confronti dei propri
popoli e che sarebbe più corretto chiamare "comitati di
amministrazione", quando non "di affari") europei:
quella dell'immigrazione terzomondiale, per mezzo della quale si
"manterrebbe il livello di vita", sostituendo
lavoratori e tecnici europei con spacciatori di droga
extracomunitari.
(g) La fragilizzazione delle strutture amministrative,
economiche, produttive, come conseguenza della computerizzazione.
Il calcolatore, oltre a causare disoccupazione in massa e ogni
sorta di problemi psicologici, rende tutta la struttura sociale e
produttiva sempre più vulnerabile a incidenti tecnici (mancanza
di corrente, virus informatici, complessità sempre crescente,
ecc.) e apre il campo a nuove forme di criminalità.
(h) La finanziarizzazione dell'economia, per cui si è
creato uno iato fra il denaro (che procede per conto proprio) e
l'economia reale. Il mostro "denaro" può però calare
sul reale con effetti catastrofici - pianificati (sappiamo da chi)
oppure anche accidentali (quando i medesimi non riescano più a
tenerlo a guinzaglio). Abbastanza presto (entro i prossimi 10-20
anni) si sarebbe spettatori e vittime di una catastrofe
finanziaria globale.
(i) La perdita di contatto con la realtà - addirittura:
il rifiuto della realtà - di tantissimi esseri umani,
soprattutto giovani. Questo fatto è potenziato enormemente dal
calcolatore e dalla televisione, ma non vi si esaurisce. A questa
casistica appartengono anche la dilagante tossicodipendenza e il
proliferare di tante turbe psichiche, dalla depressione alla
schizofrenia (alle quali ormai soggiace oltre il 10% della
popolazione europea). Sia pure a livello subconscio, un montante
numero di europei, soprattutto giovani, sviluppano una scomposta
reazione di rigetto verso un mondo che non ha senso.
(l) Il suicidio. Fenomenologia non disgiunta dal punto (i): il
tasso di suicidi è aumentato considerevolmente dopo il 1980, e
la tendenza è a che cresca ancora con l'aumentare del rischio di
disoccupazione. Da notarsi che per ogni suicidio riuscito ci sono
6-7 tentativi andati a vuoto.
(m) La diseducazione buonista impartita ai giovani in
Europa, che ha già causato lesioni psicologiche immense. Se lEuropa
non farà niente per prevenire i catastrofici sviluppi del futuro
prossimo, avrà fatto molto per allevare delle generazioni di
smidollati e di vigliacchi che, davanti a uno stato di emergenza,
non sapranno cosa fare. Molti di loro ricorreranno al suicidio.
(n) Non sappiamo ancora quali potranno essere le conseguenze
ultime dell'uso delle tecnologie nucleari e della manipolazione
genetica. Riguardo a quest'ultima, ogni cosa sembra indicare che
i suoi spiacevoli risultati si potrebbero toccare con mano non
oltre il 2025.
Conclusioni
Tutte queste fenomenologie sono riconducibili in modo diretto
all'affermarsi del monoteismo in Europa. Ed esse non potranno se
non portare - in modo traumatico - a un cambiamento radicale in
tutto il mondo, eliminando anche l'andazzo monoteistico. Ma,
assieme a quello, non è da escludere che esse portino
all'obliterazione di tutta la civiltà, quale essa fu realizzata
dai nostri Padri politeisti e quale noi, nonostante tutto, ancora
la conosciamo.
Rimane il fatto che, nonostante ogni analisi razionale, l'ultimo
perché di come fu possibile che il mondo civile soggiacesse
all'aberrazione monoteista, rimane una cosa misteriosa. Qui,
forse, bisognerebbe appellarsi al fatto metafisico dei cicli
storico-cosmologici. Chissà che un destino imperscrutabile abbia
deciso che questo specifico ciclo doveva concludersi non in
bellezza, con un combattimento cosmico - come descritto dall'Edda
o dal Mahabharata - ma per putrefazione. E Jahweh fu scelto come
il bacillo patogeno per eccellenza.
BIBLIOGRAFIA