La guerra dei contadini - Der Bauernkrieg di Harm Wulf |
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“La grande
guerra dei contadini fu la prima rivoluzione sociale e nazionale della storia
della Germania ma anche dell’Europa. I contadini tedeschi avevano anticipato i
programmi rivoluzionari dei secoli seguenti. Avevano formulato la loro visione
in un modo più ingenuo, ma anche più audace di quello che faranno le classi
borghesi e proletarie dopo di loro. Avevano sollevato le fondamentali questioni
dell’esistenza sociale e nazionale.”
W. Venohr, H.
Diwald, S. Haffer in “Documente Deutschen
Dasein: 1445 – 1945: 500 Jahre deutsche Nationalgeschichte“, Krefeld, Sinus
Verlag, 1983.
I prodromi:
la grande rivolta dei
cavalieri
Si erano avuti diversi sintomi
premonitori, come la predicazione del
cosiddetto ‘Pifferaio di Niklashausen' del 1476; nel 1514 una rivolta
della lega contadina dell'Armer Konrad (povero Corrado) viene soffocata nel sangue da Ulrich von Württemberg .
Già nel 1513 era nato nell’Alsazia meridionale il Bunschuh,
letteralmente 'lega dello scarpone’ - lo scarpone abbottonato dei contadini
assurto a simbolo della rivolta che,
iniziata come s’è detto in Alsazia, si
propagherà nella Svevia,in Franconia, nella Germania centro-meridionale, nella Stiria,
in Boemia e nel Tirolo. Ma i
prodromi delle guerre contadine si hanno
con la
rivolta dei cavalieri, che
decretò il colpo mortale per questo ceto ormai
agonizzante.
Abbiamo già parlato della spaccatura che
vede una parte della nobiltà schierarsi
con i poveri e gli oppressi: è questo il caso della piccola aristocrazia
rurale europea. In Italia essa è stata già piegata prima del 1500; nella
Germania al principio del XVI secolo la piccola nobiltà era pronta a combattere
per una radicale riforma della patria. Tutti quei nobili cavalieri che non
avevano lasciato i loro castelli per mettersi al servizio dei vari potentati nei
più svariati paesi, vivevano nella più grande povertà; come potevano assistere
passi-al declino della loro influenza,
alla miserevole vita che conducevano, mentre gli altri ceti - principi, grossi prelati e borghesi si
arricchivano tirannegiando il contado? La
storia medievale ci narra delle
imprese dei cosiddetti Raubritter (cavalieri predoni) che in odio al clero e ai cittadini facoltosi, alla testa dei loro armigeri assaltavano e saccheggiavano conventi e cittadine sedi di ricchi mercati,
imponendo pesanti balzelli ai mercanti
che osavano far passare i loro
carriaggi lungo le vie di comunicazicazione dominate dai loro
castelli.
Ma l'unica speranza era un cambiamento radicale della società da
attuarsi dopo la
distruzione del ceto
dominante e conseguente liberazione dell'Imperatore dall'influsso deleterio e dal
parassitismo dei principi guelfi,
del clero corrotto, degli usurai e
dei vari Fugger, Welser, banchieri che
tentavano già allora di monopolizzare il
commercio; una salda cavalleria
avrebbe difeso il nuovo Stato e
costituito la
sua classe
dirigente.
L'ambizioso progetto crede di trovare in Martin Lutero ideologica dopo la pubblicazione del suo appello alla nobiltà tedesca (An
den christlichen Adel deutscher
Nation)
,
ma gli eventi vanificheranno anche
quella speranza. Il tentativo dei cavalieri di sollevarsi contro i principi in nome d i tutto il popolo
tedesco, del Vangelo e del Protestantesimo naufragragherà sanguinosamente per la défaillance dell'Imperatore, dell’alta nobiltà, della
borghesia cittadina e non
ultimo per il voltafaccia di Lutero che rimane
abbarbicato al
potere.
A guidare la rivolta troviamo il cavaliere-poeta Ulrich von Hutten e il suo
amico Franz
von Sickingen. Nell'estate del 1522
raccolgono un esercito di 5.000 fanti e 1.500 cavalieri, col quale battere i mercenari dei Vescovi di Treviri,
Magonza e Colonia. Sickingen capiva
che, senza una sollevazione
popolare all'interno delle città, poco poteva contro le guarnite mura; ma
la sua fiducia nei cittadini angariati
dal regime curiale venne delusa
durante l'assedio di Treviri. I
borghesi dei ricchi centri
commerciali avevano capito che i loro
interessi si identificavano
con quelli della cricca dominante e non
lesinarono gli aiuti in danaro che permisero 1'arruolamento di altri
mercenari, mentre i contadini che avevano seguito i cavalieri
cominciavano a tornarsene ai cascinali. A Sickingen non rimase altra alternativa che quella di rinchiudersi
nel suo castello di Landsstuhl, nell’illusoria speranza che altri rivoltosi accorressero in
suo aiuto dalla Boemia e dalla Svizzera, ma invano. Nella primavera del 1523
un grande esercito con moderni cannoni
sottopose ad un massiccio bombardamento i
bastioni della cittadella che vennero sbriciolati da oltre 500 palle di
pietra: lo stesso Sickingen venne mortalmente ferito e fece in
tempo ad assistere alla capitolazione del suo maniero prima di spirare. Altri 26
castelli e borghi dei cavalieri rivoluzionari
furono distrutti nei giorni successivi. Hutten
si salvò con la fuga in Svizzera, ospitato da un certo Zwingli (che troveremo tra gli ideologi del
movimento) e morì il 29 agosto 1523.
La guerra dei contadini del
1524-1526
Negli anni
1524-1526
si
registrano numerose rivolte contadine in Germania che sfociano, all'inizio del
1525, in una vera guerra delle schiere contadine, contro gli eserciti mercenari dei diversi
principati
tedeschi.
Lutero mettendo alla berlina i
preti indegni, aveva dato il segnale della rivolta; alcuni suoi seguaci, quali
il predicatore Thomas Müntzer, Sebastian Lotzer,
Ulrich Zwingli e altri, tengono prediche infuocate nei villaggi. Si formano le
prime leghe contadine come quelle della Svevia che nel febbraio del 1525 sforna
i “dodici articoli” nei quali si richiede la libera elezione dei parroci nei
comuni rurali, la consegna delle decime in natura direttamente alle parrocchie
locali, una riforma della giustizia che consenta la reintroduzione nei processi
giudiziari dell’antico diritto germanico e l’abolizione dell’incomprensibile
diritto romano, infine la restituzione ai contadini, da parte dei Signori, dei
terreni comunitari costituenti
l’Allmende. Si costituiscono bande armate come
l'Odenwälder
Hau,fèn
organizzata dall’oste Georg Metzler e
comandata da Wendel Hipler, ex segretario di corte del Principe Hohenhohe, lo Schwarzer Haufen (il battaglione nero) guidato dall’ex
condottiero di lanzichenecchi Florian Geyer;
nella zona di Francoforte operava un gruppo capitanato dal celebre cavaliere Götz von Berlichingen; l'intera Turingia era nelle mani
delle bande condotte da Thomas
Müntzer.
In Alsazia e nel monastero di
Bamberga i 12 articoli vennero accettati,
altrove vengono imposti con la forza: conventi, chiese, borghi e città subiscono
saccheggi ma, tranne che nella cittadella di Weisberg che aveva resistito a lungo, non ci
furono eccessi da
parte dei rivoltosi; la città di
Heillbronn si consegna spontaneamente. Un contemporaneo dell'epoca
informa da Trento
che 300.000
contadini avevano aderito alle
leghe, ma tra loro militavano pure
minatori, proletari cittadini, nobili spiantati, lanzichenecchi, preti spretati e monaci
smonacati. «Un odio quasi incomprensile
per tutto ciò che finora è stato sacro per loro, un furore bestiale di distruzione verso chiostri e
chiese, la profanazione delle suppellettili e degli usi liturgici, la derisione
e il maltrattamento di preti, monaci e monache, inoltre la distruzione delle
biblioteche - tutto _ mostra come i contadini considerino questa
antica civiltà, in cui sono vissuti per
secoli, come qualcosa di estraneo, a loro
nemico”. Rimane l'infantile fiducia nella figura dell'Imperatore
che ormai
è troppo debole per
imporre una pacificazione fra i principi e i suoi sudditi.
La reazione non si fece
attendere: vennero arruolati anche mercenari
stranieri - croati, ungheresi e perfino albanesi – e si scatenò
la vendetta dell'alto clero e
dell'aristocrazia guelfa. I contadini, inferiori per armamento e addestramento,
vengono
sconfitti dai soldati di
professione, anche per la frantumazione e la
scarsa coordinazione delle bande ribelli. Nella battaglia di
Frankenhausen in Turingia, combattuta il
15 maggio 1525, fu catturato Thomas Müntzer
e subito eliminato.
Altre battaglie perdute dalle
bande contadine: quella del 12 maggio a Sindelfingen, a Zabern (Austria),
il 16 maggio, a Königshofen in
Franconia il 2 giugno, a Schwaz in
Tirolo nel 1526; Florian Geyer muore presso Schwäbischhall, ma il suo nome rivive in
numerose ballate e marce militari. In un anno la rivolta contadina della
Germania meridionale fu soffocata nel
sangue, con inumana ferocia, con distruzioni
e saccheggi, con la tipica
spietatezza che caratterizza gli anni della ‘Santa
Inquisizione’. Queste le cifre: 80.000 giustiziati, 50.000 tagli della mano con
la quale i villici avevano giurato, 35.000 accecati; istruttivo l’onorario
presentato da un boia della Franconia per
le sue ‘prestazioni’: 80 decapitazioni,
165 accecamenti, 532 tagli della mano! Si strapparono pure molte lingue a
quanti avevano fatto propaganda rivoluzionaria.
Le cause
Dall’evoluzione del sistema
feudale si andavano formando i primi elementi dell'economia capitalistica per un elevato grado
di accumulazione di capitale commerciale
e di capitale usuraio. Si assiste in quegli anni alla riapertura delle miniere e
al tentativo di grandi società minerarie
bavaresi capitanate dai Fugger,
dai Welser, dagli Hochstetter e
dai Baumgartner, di assicurarsene lo
sfruttamento. La ricchezza cresce in
misura mai vista, ma essa è nelle mani della grossa nobiltà e del ceto
mercantile cittadino; nelle campagne invece, accanto a pochi contadini
benestanti crescono quelli poveri e i non liberi ma soprattutto si accresce la massa dei senza terra
che sotto l’incalzare dell'usura delle
città hanno perduto i campi che una volta coltivavano: gli espropri ai danni dei contadini e la
miseria dei piccoli artigiani crea grandi
proprietari da un lato e declassati dall'altro; accanto a questo fenomeno vi è l'impoverimento della nobiltà
rurale minore, erede della primitiva aristocrazia germanica e dei cavalieri,
molti dei quali si mettono alla testa dei
rustici in rivolta. Se a ciò si aggiunge la corruzione del clero romano che
porta alla crisi confessionale, sfociata
nella ribellione di Lutero, si comprenderanno appieno i motivi che portano alla più grande
rivolta del XVI secolo. L’adesione formale dei e
dei contadini al Protestantesimo è solo l'accentuazione del
tentativo di liberarsi dalla
tutela del Vaticano e soprattutto dall’aborrito
Diritto Romano: il Los von Rom
di allora era causato
dall’identificazione del Diritto Romano e
del Cattolicesimo corrotto e intollerante, con i suoi corollari di papismo,
clericalismo e gesuitismo con la ‘Romanità’.
La condanna delle rivolte
contadine da parte di Lutero si articola fra il 1523 e il 1525, in un profluvio
di libelli e opuscoli tra cui le Lettere
ai Principi di Sassonia sullo spirito sedizioso del luglio 1524; l’Esortazione alla pace in risposta ai dodici
articoli dei contadini svevi dell’aprile del 1525; ed infine lo scritto Contro le bande omicide e saccheggiatrici
dei contadini del maggio 1525, nel quale spicca un invocazione tanto
violenta e decisa da non lasciar adito a dubbi sulla sua interpretazione: “Signori, liberateci, sterminate, e colui che
ha il potere agisca.” Con questa esortazione sanguinaria il luteranesimo
consolida la propria alleanza con i principi territoriali
tedeschi.
Da G. Ciola, A. Colla, C. Mutti,
T. Mudry “Rivolte e guerre contadine” Società Editrice Barbarossa, Milano, 1994.
Società Editrice Barbarossa C.P. 136 – 20095 Cusano Milanino (MI) tel.
0266400383 E-mail: barbarossa@tiscali.it
Gli usurai pagavano la
repressione: Rex Denariorum
"Interesse: bella parola per
usura. Finanza: bella parola per furto."
Matthäus Schwarz
Se Marx ed Engels s'erano
occupati della
guerra dei contadini
perfino discutendo, come si è
visto, il testo teatrale di Lassalle Franz von
Sickingen,
certamente volentieri avrebbero letto un lavoro drammatico di quasi
trent’anni fa, ricco del senno e delle conoscenze del poi, e dedicato allo
stesso evento.
Nel testo di Bloch, dove tanto si
parla di cose occulte, v'è un occulto cui non si fa cenno, ma che veramente sta
al di sotto di tutta la vicenda dei contadini e delle azioni di Müntzer e Lutero e condiziona la storia della
Germania, non solo di allora. Questo occulto è il capitale, di cui invano si
cercherebbe la traccia in tanti testi dedicati alla guerra deí contadinz;
che tanto si occupano, invece, di
beghe teologali. Va dunque segnalato un testo teatrale di Dieter Forte, scritto
negli anni 1968-1970 (e si percepisce benissimo!), che dichiaratamente non tratta di
teologia (171),
ma, narrando i casi della
rivolta, intrecciati con quelli di Lutero e Müntzer, valendosi di documenti "rigorosamente
storici'' (172),
finalmente mette in
scena anche il personaggio del banchiere Jacob Fugger, che di quegli eventi è il deus ex machina.
Più
precisamente e giustamente, non
Jacob, ma il suo capitale, che lo domina e lo fa agire, governa tutta quella
storia. Non inserendosi
in particolare
nella diatriba Lutero/Müntzer e neppure nell'evento della disfatta
contadina presso Frankenhausen, ma
interagendo
anche
con esse, in quanto decisiva
potenza mondiale. Alla morte di Jacob Fugger,
al termine del 1525,
infatti "il capitale totale della
società Fugger era (...) il più
grande del mondo" (173): dunque
superava in potere economico qualsiasi regno ed impero e lo condizionava, come
accadde nell'emblematico caso dell'elezione dell'imperatore Carlo V, quando
Fugger corruppe gli elettori imperiali
con
545.585
fiorini e, da quel
momento, ebbe in mano il più potente monarca della terra, suo debitore, come osò
ricordargli anche in una famosa lettera: "È noto ed evidente che senza di me
Vostra Maestà non avrebbe potuto ottenere la corona romana, come io posso
dimostrare con lo scritto di tutti i vostri imperiali commissari"
(174).
D'altra parte, prestava delicati
servizi anche al papa. Asserisce Lutero, nelle Tischreden: "Su
di un messo che era stato
disarcionato, furono trovate delle lettere papali indirizzate ai Fugger, che contenevano l'invito a dare a
Lutero trecento fiorini, perché tacesse" (175)! Se questo finanziamento avesse
raggiunto i suoi scopi, la Riforma non sarebbe forse nata, il che svela i
profondi rapporti che possono esserci fra banca e religione, capitale e spirito!
Non solo Jacob Fugger poteva esclamare:
"Ho nella mia borsa Papa e Imperatore" (176( (era primo banchiere
e coniatore di monete per la
Santa sede, anch'essa ampiamente indebitata con lui), ma poteva imporre e
distribuire cariche laiche ed ecclesiastiche a suo piacimento. Impone a forza
la nomina del vescovo di Augusta, nel
1517 (177).
E’ pronto a prestare
all'imperatore Massimiliano 300.000 fiorini, perché sia nominato papa, alla
morte di Giulio II; solo che quel papa non muore e sfuma la corruzione del
collegio cardinalizio (178)... Hutten lo
chiama
rex
dcnariorum
e, nei suoi
Praedones,
definisce i Fugger anche re delle puttane:
"Essi
hanno impiantato là il loro
banco e comperano dal Papa ciò che rivendon
poi a più caro prezzo” (179). Hutten
allude qui al traffico di bolle, benefici ed indulgenze, che erano
diventati, con Jacob, nient'altro che interessi bancari.
Da padrone del mondo (e dunque
anche della cultura) Jacob aveva pure voluto cancellare la nomea di usuraio
che gravava sulla sua professione
`onorata' di banchiere. Se il suo capo-contabile Matthäus Schwarz continuava a
scrivere, in un suo
Nota bene famulus:
"Interesse ist höflich gewuchert.
Finanzen ist höflich gestohlen (Interesse: bella parola per usura; finanza:
bella parola per furto)" (180), Jacob volle manomettere anche la tradizionale
teologzà
dell'interesse
e incaricò, su lauto compenso,
Johannes Eck, l'avversario di Lutero, perché sostenesse che il tasso
d'interesse al
5
%
era legale. Per questo teologo,
profumatamente sovvenzionato, l'interesse altro non era che "compenso per
mancato guadagno": Jacob gli pagò un tour
universitario (a cominciare da
Bologna) che propagandasse le sue tesi
economiche. Eck toccò anche le facoltà di Vienna, Lipsia etc. etc. Cosí Jacob ottenne
"de
jure
l'autorizzazione a prendere
interessi e la classe dei mercanti ora poteva cal colare apertamente le sue percentuali,
senza velarle col nome di
fatica e rischio.
Tuttavia la taccia di usurai nei
confronti della società Fugger non veniva
messa a tacere.
Wuchern
e Fuggern
furono usati come sinonimi.
Ulrich Hutten aveva persino scritto
un'opera (...) in cui Fucker
vale
usuraio”
(181).
Ovvio che Martin Lutero,
contrarissimo all'usura e al papato, vedesse come fumo negli occhi il
rivenditore di indulgenze Fugger e
rinfacciasse "ai Fugger di Augusta le
compere, le vendite, i cambi, i baratti, le menzogne, gli inganni, í furti"
(come scrive in
Alla nobiltà tedesca)
(182); tuttavia anch'egli dipendeva da quei principi che
di Jacob, volenti o nolenti, erano sudditi; come il papa, che aveva dovuto farlo
appaltatore generale delle indulgenze. E Lutero ben lo sapeva e
scriveva che l'interesse è un "uso, che non esiste da molto più di cento anni ed
ha già ridotto quasi tutti i principi, le fondazioni, i comuni, la nobiltà e gli
eredi in povertà, miseria e rovina. Il diavolo lo ha escogitato e il Papa con la
sua approvazione ha fatto del male a tutto il mondo" (183). "Con il prendere
interessi - continua Lutero - i Fucker
si sono acquistati la loro grande ricchezza": anch'essi dunque
emissari del diavolo,
diavoli incarnati!
E come gli adepti del diavolo
(maghi, streghe etc.) essi impiegano
fornmle magiche adatte alla loro
attività. Nel 1538, secondo le
Tischreden,
a Lutero si mostrò "una scrittura
dei Fugger i quali cambiavano in vari
modi la disposizione delle lettere dell'alfabeto, onde nessuno le potesse
leggere. Lutero rispose: `Queste sono invenzioni di ingegni eccezionali e sono
strumenti adatti alle età peggiori (...).
E dicono che anche il nostro imperatore Carlo, a causa della slealtà dei suoi
segretari, scriva sempre nei casi più difficili due lettere di opposto
contenuto” (184): magia politica e magia bancaria qui si sovrappongono nell'uso
del criptolinguaggio, come osserverà, nel '600, Gabriel Naudé, che di maneggi politici si
intenderà a fondo (185).
Ma Jacob Fugger è testimone prezioso anche delle rivolte
di poveri e contadini contro signori e mercanti. Contro í Fugger, nella loro stessa città di Augusta,
aveva osato predicare, mettendosi dalla parte dei poveri, il monaco Johannes
Schilling, nel 1524. Richiamandosi agli hussiti, i poveri si ribellarono, costituirono
un comitato rivoluzionario, capeggiato da tre tessitori, che produsse anche un
programma, in cui, tra l'altro, "si chiedeva che í mercanti e le società
commerciali, che erano colpevoli di tutto il male, dovessero essere tolte di mezzo" (186). Per precauzione, Jacob "mise al sicuro sé e la sua
famiglia nei suoi castelli e fece portar via da Augusta il denaro liquido"'"'.
In Tirolo accadevano, nel frattempo, cose simili. Gli Articoli meranesi testimoniano le richieste dei rivoltosi del
1525:
"Poiché - si dice in questi - sono sorte tante società, specialmente i
Fugger, gli Höchstetter e i Welser, e bisogna acquistare dalle società
tutto quello di cui si ha bisogno, tutte queste cose, siano piccole o grandi,
devono essere abolite; cosí tutte le
merci potranno tornare ad un giusto prezzo"(188)! E Michele Geismair, figlio di un minatore di Vipiteno, chiedeva: "Anzitutto tutte le
fonderie, miniere d'argento e di rame e dipendenze, che appartengono alla
nobiltà, a mercanti stranieri ed a società, devono diventare proprietà comune
del paese" (189).
Le rivolte si propagano
dappertutto, allora, nella Germania meridionale e anche nei domini dei Fugger. Per Jacob si trattava degli effetti
della
dottrina erronea
propagandata
dalla riforma
luterana. Scrive infatti ad un suo agente di Cracovia: "Fanno questo i nuovi predicatori,
che predicano che non si deve badare ai comandamenti degli uomini; questo era
quello che volevano i contadini, di non obbedire più ai loro padroni. Questa
nuova fede si diffonde ancora in molti luoghi presso di noi. Io non so dove si
andrà a finire" (190). Il signore economico del mondo ha paura di poveri,
minatori e contadini! E si barcamena come può: in parte con diplomatici accordi
coi rivoltosi, in parte con la repressione: per esempio, la lega sveva, finanziata dal Fugger, sventò l'assedio di Weisserhorn, contro cui si erano coalizzati
12.000 contadini. "Le località di Leipheim, Teítheim e tutte le altre che si
fossero unite alla massa dei contadini, furono severamente punite per la loro
miscredenza eretica, luterana', perdettero i loro diritti"(191). Nel caso di
Weisserhorn, l'arciduca Ferdinando s'era
rivolto direttamente a Jacob, perché proteggesse la città. Alla fine "i ribelli
furono definitivamente sbaragliati e i loro capi giustiziati. Cosí, in pochi mesi era terminata la rivolta
dei contadini nei territori dei Fugger"
(192). Si è fra il marzo e
l'aprile del 1525.
In maggio avverrà
la disfatta di Müntzer e dei suoi. A
pochi mesi dalla sua decapitazione, in dicembre, anche Jacob muore, non senza
essersi confrontato con una situazione in cui, come scrive a un amico
sconsolatamente "il basso popolo ha preso completamente la mano. La plebe
desidera diventar ricca e nessuno vuol lavorare e i contadini vogliono essere
esenti da imposte".
Dal suo trono di barili d'oro
(come diceva Lutero) questo re del mondo forse si rende conto, alla fine della
vita, che il suo dio/ denaro non è onnipotente (sebbene il suo culto non sia
ancor oggi terminato!), che può talvolta deludere ed invia ambigui segni.
Scrive Clemens Sender che, prima della morte di Jacob,
"il giorno di Natale verso il vespro è apparso ad Augusta sulla Madonna un segno
premonitore, un arcobaleno nero, che fu visto da tutti (194). Un arcobaleno
aveva presieduto anche alla strage dei contadini di Müntzer, quasi a sottolineare un ironico
cinismo del cielo. L'arcobaleno nero sul letto di morte di Jacob Fugger era forse, a sua volta, un memento
sulla non
eternità della sua potenza e della potenza del capitale, che, tuttavia, da
allora, si è talmente consolidata da apparire un'incombenza insopportabile,
anche se gli scricchiolii si avvertono! È questa onnipotenza
che viene
sottolineata nel testo di Forte, non a caso, perché proprio con Fugger il capitale è diventato cosmico! "ll
capitale monopolistico
(rappresentato da Fugger) (...) regge e
muove gli eventi e si individua infine come un'entità astratta, assoluta, un
Leviatano che vive de se ipso ad
se ipsum,
in sé
circolare, opprimendo e distruggendo ogni moto liberatore dell'uomo nella
storia". In sua dipendenza "si dispiega il processo storico di un'età
fondamentale per la costruzione del mondo moderno". "Il potere politico è nullo
di fronte al potere economico (...) che,
attraverso l'introduzione delle impersonali leggi della contabilità, diventa una
gelida divinità alla quale è asservito lo stesso Fugger" (195).
La marcia trionfale del nuovo
dio/denaro (cui si deve non solo il
massacro dei contadini e di Müntzer, ma,
in ultima analisi, quello contemporaneo di 69 milioni di amerindi) (196), si
dispiega, nel lavoro di Forte, in una
serie di scene in cui, volta a volta, si vede come Alberto di Brandeburgo, Federico di Sassonia, il papa, le miniere, l'imperatore
Massimiliano, le guerre, le elezioni di imperatori e papi etc. etc. dipendano dal nuovo Libro, dalla
nuova Religione: il
Testo della contabilità,
che è l'anima del
capitale. Tutto passa attraverso
questa nuova Bibbia (197), di cui
umilissimo servitore e predicatore è Fugger!
Con cui sono indebitati principi, papi, imperatori. Da questo punto di
vista, anche le vicende di Lutero prendono un colore inedito. Dice Carlo V
(pensando ai suoi debiti): "Se condanno Lutero, i principi non mi danno più né
un centesimo né un soldato”(198).
Da parte sua, Fugger incrementa il suo capitale col traffico
ormai mondiale: "Abbiamo bisogno di miniere nostre in America, e meglio ancora
direttamente colonie nostre (...).
Purtroppo gli indios non ce la fanno a
sopportare a lungo i nostri avanzati metodi di produzione. Benché si sia introdotta
la pausa meridiana, muoiono come mosche (... )
Grazie a Dio i negri si sono dimostrati più resistenti, e i negri, com'è noto,
vengono consegnati in Africa franco costa (... ).
Venderemo i negri in America, porteremo in Europa l'oro e l'argento americano,
in compenso venderemo il nostro rame in India, e le spezie indiane le venderemo
in Europa. Miei signori, questo globo è prezioso"(199). E all'interno di questa
globalizzazione, mediante la quale il
capitale si avvia a permeare tutto, che va collocata la guerra dei
contadini,
anche
i cui protagonisti risentono di quella globalizzazione. Se Lutero dipende dai principi
e dall'imperatore Carlo V, l'imperatore dipende da Fugger e dalla sua... contabilità.
Dice Fugger a Carlo V: "Maestà, se faccio sapere in
Borsa che Lei è insolvente, il mercato dei prestiti per Lei è chiuso (...) -
Lei parla con l'Imperatore - Io parlo col
mio debitore, Lei è maestà perché io ho pagato. Quell’affare che porta sul capo
gliel'ho comprato io” (200). Ed estorce all'imperatore la direzione del
commercio delle spezie, l'appalto delle miniere d'argento vivo, il monopolio del
legno di
Guuzàcca
(medicina
allora eccellente contro la sifilide, di cui v'era grande smercio), terminando
cosí: "Io Le compero il dominio
dell'Europa e Lei mi protegge il capitalismo
monopolistico"!
Naturalmente Fugger interviene anche nella lotta di Sickingen e dei cavalieri: "Desidero che il
partito dei cavalieri venga liquidato. Completamente"(202). Naturalmente d
desiderio è accompagnato da competente assegno. Aggiunge il suo braccio destro
Schwarz: "Poi non rimarrebbero che i lavoratori e i contadini". Risposta: "Anche
loro sono quasi maturi"(203)! E infatti Fugger
foraggia con armi e denaro i principi in lotta con i contadini, con una
raccomandazione: "Non uccidetene troppi, sennò
dovrete ararli voi i vostri campi.
E mettetevi in mente, una volta per tutte, che la vostra Germania è stata
salvata dal mio denaro". Poi, guardando la contabilità, commenta il riporto totale
di 25 milioni:
"Per centomila contadini morti.
Questo fa 250 a contadino. È a buon mercato. Un buon affare (...). Io sono ricco per grazia di Dio"
(204)!
Cosí
signori e sovrani
diventano
buoni dipendenti dell'amministrazione Fugger
(205).
D'altra parte, Fugger è, a sua volta, dipendente, del proprio capitale, cosa di quella cosa, cui, mentre viene issata su una picca, in fondo alla
scena, la testa di Müntzer rivolge questa
ispirata preghiera: "Tu principio e fine di ogni cosa / Tu che eri, sei e sarai / Da cui, per cui e in cui tutto esiste/ in cui noi viviamo,
ci muoviamo e siamo / Che hai ogni
potere in cielo e in terra / Che possiedi le chiavi della morte e
dell'inferno / Che hai ordinato tutto
secondo peso, ordine e misura / Tu re dei
re e signore dei signori / La tua maestà
riempie la terra / La tua sapienza
governa possente e tutto amorevolmente ordina. /
Abbi pietà di noi / O Capitale.
. . "(206)!
È contro questa
nuova teologia
(e nuova
divinità) che fa naufragio la guerra dei contadini (e non solo quella,
purtroppo). Il merito di Forte è di aver spostato l'interesse, appunto, dalla
teologia tradizionale, sulla quale i vecchi storici misuravano le vicende dei
contadini e di Müntzer, a questa
nuova teologia
del dio/denaro, tuttora imperante, investendo le
antiche vicende della realtà che ancor oggi (e soprattutto oggi) condiziona il
non-uomo che tutti siamo. Ovvio che
impieghi, nella sua impresa, il linguaggio di oggi, ma mai tradendo i documenti
storici cui esattamente si ispira. Certo il suo Müntzer ha perso quasi del tutto l'alone
vecchio/ teologico e apocalittico che conserva in Bloch, ma direi che la cosa
dipende dall'enfatizzazione che vien data
alla nuova divinità, la cui crudissima luce non può non porre in ombra quella
della vecchia, assieme ai suoi portatori. Se il sottotitolo del Münzer
di Bloch era
teologo della rivoluzione, il Martin Lutero e Thomas
Müntzer
di Dieter Forte ha per
sottotitolo
L'introduzione della contabilità:
quando l'uomo diventa
calcolabile,
merce,
cosa in mano
aduna cosa (il capitale), non v'è più apocalissi
o chiliasmo che tengano: è sulla
cosa, su
come ha potuto trionfare, che
vanno diretti i nostri occhi. E Forte lo fa, a mio parere, egregiamente e,
proprio per questo, trascura (come gli è stato rimproverato!) la "funzione
della personalità nella storia"(207).
Come la "concreta individuazione delle forze sociali che hanno sorretto
quell'importantissimo momento di ristrutturazione della società non soltanto
tedesca, che viene connotato come età della Riforma" (208). Ma non esisteva già, in
proposito, "la magistrale analisi di Engels" (209)? Sicché non è difetto, ma
pregio, che Forte delinei il suo dramma "arcuando (...) su tutto il decorso degli eventi la
potenza arcana del capitale monopolistico"(210),
che, come s'è visto, è il deus absconditus
(ma non troppo) dell'opera e la
sua cifra più specifica. Qualcuno lo rimprovera anche del fatto che "oscurando
la complessità della situazione di classe che sorregge gli esiti della riforma
luterana ed elevando la presenza del capitale
monopolistico
in
una sfera destorificata, cosí da
conferirgli quasi un'ineluttabile razionalità, il Forte finisce per colorare il
processo storico da lui raffigurato di tratti di cupa fatalità"(211).
Una critica del genere era
possibile, intorno agli anni settanta, alla luce di recenti studi (Baran e Sweezy) sul capitale
monopolistico. Oggi, dopo la caduta del muro di
Berlino, con la globalizzazione, non mi
pare che la
cupa fatalità
con cui si può guardare al
capitale monopolistico
sia trascurabile. La "visione
`ideologica' di una società capitalistica neutra e astratta, privata di ogni
connotato di classe e dell'evidenza dello sfruttamento dell'uomo sull'uomo"
(212) è purtroppo diventata
ideologia
dominante e il testo di Forte ha
dunque il merito, semmai, di porla sotto il suo efficace riflettore, lasciando
al lettore di trarne l'ammaestramento che desidera.
Ma è ora di passare dalle interpretazioni ai
personaggi
e alle vicende storiche che li
riguardano. Dalle
interpretazioni
di Müntzer a Lutero, il suo maggiore ed acerrimo
antagonista; alle
parole
che Lutero ci ha tramandato.
Inutile dire che proprio l'argomento che si è scelto di trattare fa privilegiare
questi due protagonisti a scapito delle classi e delle masse che essi
personificano, ma la presente è una analisi molto più delle idee che degli
ambiti sociali che esse vanno esprimendo; d'altra parte, appunto, il diavolo non
può essere collocato che in una ideologia.
Da Luciano
Parinetto “La rivolta del diavolo. Müntzer,
Lutero e la rivolta dei contadini
in Germania e altri saggi” Rusconi, 1999
Note
171 Cfr. D. Forte
Martin lutero e
Thomas Müntzer, ovvero l’introduzione della contabilità,
pag 269,
Einaudi, Torino 1974
172 Cfr. ibidem pag.
279
173 Cfr. Will Winker Fugger il ricco, pag. 206, Einaudi,
Torino 1943
174 Cfr. ibidem pag.
138
175 Cfr. Martin Lutero Discorsi a tavola, pag. 172, Einaudi,
Torino 1969
176 Cfr. Will Winker Fugger il ricco, pag. 151, Einaudi,
Torino 1943
177 Cfr.
idem
178 Cfr. ibidem pag.
138
179 Cfr. ibidem pag.
138
180 Cfr. P. Jeannin I mercanti del ‘500, pag. 170,
Mondatori, Milano 1962
181 Cfr. Will Winker Fugger il ricco, pag. 251 - 252,
Einaudi, Torino 1943
182 Cfr. ibidem
pag.
183 Cfr. ibidem
pag.
184 Cfr. Martin Lutero Discorsi a tavola, pag. 273 – 274,
Einaudi, Torino 1969
185 Cfr. L. Parinetto, Streghe e potere: il capitale e la
persecuzione dei diversi, Rusconi, Milano 1998
186 Cfr. Will Winker Fugger il ricco, pag. 255, Einaudi,
Torino 1943
187 Cfr.
idem
188 Cfr. ibidem pag.
138
189 Cfr. ibidem pag.
138
190 Cfr. ibidem pag.
138
191 Cfr. ibidem pag.
138
192 Cfr. ibidem pag.
138
193 Cfr.
idem
194 Cfr. ibidem pag.
138
195 Cfr. D. Forte
Martin lutero e
Thomas Müntzer, ovvero l’introduzione della contabilità,
pag. 280 - 281,
Einaudi, Torino 1974
196 Cfr. L. Parinetto, Streghe e potere: il capitale e la
persecuzione dei diversi, Rusconi, Milano 1998
197 Cfr. D. Forte
Martin lutero e
Thomas Müntzer, ovvero l’introduzione della contabilità,
pag. 42 - 43,
Einaudi, Torino 1974
198 Cfr. ibidem pag.
112
199 Cfr. ibidem pag.
1146
200 Cfr. ibidem pag.
162
201 Cfr. ibidem pag.
164
202 Cfr. ibidem pag.
176
203 Cfr.
idem
204 Cfr. ibidem pag.
224
205 Cfr. ibidem pag.
246
206 Cfr. ibidem pag.
261
207 Cfr. ibidem, Nota finale di Giorgio Sichel, pag.
283
208 Cfr. ibidem pag. 282 -
283
209 Cfr. ibidem pag.
283
210 Cfr. ibidem pag.
282
211 Cfr. ibidem pag.
288
212 Cfr. ibidem pag.
288
Storia di Florian Geyer
Il villaggio di
Giebelstadt giace nella pianura della Franconia nel cosiddetto "Ochsenfurter
Gau". Non ci sono testimonianze sulla fondazione del villaggio ma si può
affermare che Giebelstadt è uno dei
primi insediamenti in questa ricca area agricola. Ad est della cittadina in un
piccolo bosco si trovano i resti di un cimitero preistorico. Gli scavi
effettuati dal Prof. Dott. Heck di
Würzburg nel 1920 hanno rivelato che
queste tombe sono il luogo di sepoltura usato dagli antenati teutonici e
risalgono ad un periodo tra il 1000 e il 2000 anni prima dell’inizio dell’era
cristiana. Ci sono due versioni sull’origine del nome Giebelstadt. Nell’antico Tedesco il nome "gir" significa cavallo - stallone mentre il
suffisso "stat" significa stalla – posto dove sono messi i cavalli. La seconda e
più vecchia versione vede nel nome"Gibulesstat" vale a dire il nome "Gibule" ed il suffisso "stat" – "la casa di
Gibule". Egli avrebbe potuto essere il nome di un Carolingio della Franconia che
si era installato nella zona. I Carolingi erano una dinastia franca che regnò in
Francia dal 751 al 987 e colonizzò
questa parte della Germania. Sotto i re carolingi questa terra divenne ducato di
Franconia. Il re più famoso di questa dinastia fu Carlo Magno, primo imperatore
del Sacro Romano Impero di nazione germanica. I ministri del re, i cosiddetti
"Gaugrafen" – Conti del Gau, furono il braccio armato della dinastia con compiti
di giudiziari e di polizia. La più antica testimonianza sulla città di
Giebelstadt è datata al 20 gennaio 820.
Il Conte Radulfus ebbe una disputa col Vescovo Wulfgarius di
Würzburg
a proposito d’alcuni villaggi tra "Gibulostat"
e "Eichesfeld", ora conosciuti come Giebelstadt ed Essfeld. L’antico documento
afferma che l’imperatore germanico Luigi il Pio da Aquisgrana stabiliva che la
chiesa e le proprietà in questione
rimanessero in possesso del Vescovo di
Würzburg
.I Conti ressero il
"Badanachgau"fino a circa il 1000 quando anche quest’area cadde sotto
l’influenza del Vescovo di
Würzburg
che divenne “Duca di Franconia” e governatore
per conto del re. Il ducato di Franconia retto dal principe vescovo di
Würzburg durò fino alle guerre
napoleoniche e divenne parte della Baviera nel 1806. Dall’inizio del 948 sono
menzionate le famiglie nobili dei Geyer e dei Nobel. Quest’ultima ancora
presente a Giebelstadt con il Barone Stefan Freiherr von Nobel capo della
casata. Fin dai tempi più remoti questa zona era stata usata come posto per la
riproduzione dei cavalli e senza questa attività lo sviluppo della cavalleria
non sarebbe stato possibile, così fu naturale per entrambe le famiglie nobili
adottassero la testa di un cavallo nel loro stemma araldico. Nel quindicesimo
secolo la famiglia Geyer mise nel suo stemma una testa d’ariete. Il 24 agosto
1708 il Conte Heinrich Wolfgang von Geyer morì. Lui e sua moglie Helene Julianne
von Wolmershausen zu Amlishagen non avevano figli così la famiglia Geyer si
estinse.
Il più famoso esponente della casata dei Geyer fu il
Cavalier Florian Geyer, nato a Giebelstadt bei Ochsenfurt nel 1490, eroe della
Guerra dei contadini. Di nobili natali, Florian Geyer fu educato in Gran
Bretagna e, dopo il ritorno in patria, nel 1512, venne mandato in missione dal Re dell’Inghilterra. Come
feudatario del Margravio von Ansbach partecipa nel 1513, agli ordini
dell’Imperatore Massimiliano, alla campagna contro la Francia. Per il suo
atteggiamento anticlericale e per una questione di tributi col monastero di
Neumünster è scomunicato nel 1517 e rimarrà al bando fino alla sua morte. E’
comandante dei lanzichenecchi al servizio della Lega Sveva contro il duca Ulrich
von Württemberg nel 1519. Membro dell’Ordine teutonico fu capo militare e
diplomatico al servizio del Gran Maestro del Deutschen Orden, Albrecht von
Preußen a Königsberg. Con quest’incarico partecipa a diverse missioni
diplomatiche con l’imperatore Carlo V. Guida le trattative che portano
all’armistizio con la Polonia nel 1520. Nel 1523 invia i suoi dignitari a Wittenberg per colloqui con Martin Lutero.
Lascia volontariamente il suo castello e, aderendo alla riforma, lesse dal
pulpito della chiesa evangelica luterana
di San Giacomo in Rothenburg sul Tauber i paragrafi dei «Dodici Articoli,
dell’aprile 1525» che prevedevano l'abolizione della servitù della gleba e la
distribuzione delle terre confiscate alla Chiesa dai principi passati al
luteranesimo. I contadini si organizzarono in bande armate (Haufen) con lo scopo
di controllare le loro truppe. Pochi erano i veri capi militari. Soprattutto in
Franconia i cavalieri si unirono alle schiere contadine insieme con artigiani e
gente comune. Chi per convinzione, chi per difendere i propri beni, ma la
maggior parte per vedere rinascere un Impero fondato su forti assise popolari
che si sbarazzasse dei potentati dinastici e dei principi corrotti. Tra i più
determinati di questi aristocratici che sostennero la causa contadina troviamo
Florian Geyer. Egli reclamava il ristabilimento del potere imperiale, la
destituzione dei principi e il sequestro dei beni ecclesiastici. In Franconia la
rivolta si diffuse in molti centri. Il 25 marzo, insieme a Götz von Berlichingen, egli si pose a capo
dei contadini ribelli costituendo il famoso “Schwarze Haufen” (battaglione nero)
con cui partecipò all’assedio di Würzburg e alla presa di Rothenburg. Nello
Schwarzen Haufen si radunano lanzichenecchi e contadini radicali venuti da tutta
la regione. Il battaglione diventa l’avanguardia dei ribelli per la sua
determinazione e la sua preparazione militare. Geyer prende d’assedio con i suoi
la città di Weinsberg e l’espugna insieme alla banda dei contadini della valle
del Neckar comandati da. Jäcklein Rohrbach,
Su
iniziativa di quest’ultimo si compiono diversi eccessi tra cui il “das Recht der
lange Spiesse” il “il tribunale delle lunghe lance” la domenica di Pasqua.
Quattordici prigionieri sono uccisi mentre sono condannati a passare tra due
file di lance brandite dai contadini. Unico episodio di questo genere sarà preso
a pretesto per rappresentare la rivolta come un bagno di sangue gratuito.
Florian Geyer alla testa del suo Schwarze Haufen parte per andare a combattere
nella regione di Würzburg e del Neckar. Dopo la conquista della città comincia
il contrattacco dei principi. Il 12 maggio, rompendo un armistizio appena
concluso, Georg Truchsess, capo della Lega Sveva sbaraglia i contadini del
Wurtemberg nella battaglia di Böblingen. Fatto prigioniero Jäcklein Rohrbach, considerato il responsabile degli
eccessi di Weinsberg, viene portato in catene a Neckargartach e bruciato vivo.
La città di Weinsberg viene bruciata per rappresaglia contro l’uccisione del
conte di Helfenstein. Tra le schiere contadine divampa la paura e le diserzioni
si moltiplicano. Il capo Wendel Hipler cerca di riorganizzarli ma senza
successo. Le bande contadine furono isolate ed attaccate una alla volta dalle
forze coalizzate dei principi e annientate. Le battaglie della disfatta
contadina avvengono a
Könighofen sul Tauber, in un posto che ancor oggi è
chiamato “Schlachtholz” bosco del massacro, e a Frankenhausen in Turingia. Uno
dei capi della rivolta Thomas Müntzer è fatto prigioniero. Sotto tortura, prima
della decapitazione, urla: “Omnia sint communia!”. La battaglia contro l’egoismo
e l’avidità dei signori era stata uno dei motivi dominanti della sua teologia. A
migliaia i contadini sono sterminati. A strage avvenuta Lutero in una lettera
del 30 giugno 1525 scrive che se tra i contadini “vi sono degli innocenti, Dio
saprà ben proteggerli e salvarli… se egli non li salva è perché sono criminali!”
Esattamente come il “Tuaz! Tuaz! Dieu
fara la triada!” Tanto rimproverato al legato pontifici nel massacro di
Béziers durante la guerra contro gli Albigesi. Sia i preti cattolici che i
predicatori protestanti chiedono le teste dei contadini e dei loro capi. Si
calcola che alla fine furono sterminati, in battaglia o sulla forca circa
100.000 contadini. Al solo Georg Truchsess von Waldburg si deve l’impiccagione e
la decapitazione e l’accecamento di circa 12.000 contadini. Mancava al movimento
contadino quella compattezza di cui aveva dato prova nella fase iniziale. Le
truppe di Geyer non hanno scampo. Ben addestrati ma molto inferiori di numero i
lanzichenecchi del “battaglione nero” vengono sconfitti dalla lega a Sulzdorf. I
cavalieri cercano di radunare i sopravvissuti, circa seicento uomini per
organizzare la difesa attorno al castello di Ingolstadt. Dopo una resistenza
eroica lo Schwarze Haufen viene annientato. Florian Geyer riesce a sfuggire al
massacro. Rifugiatosi dopo la disfatta, a Rimpar a nord di Würzburg, viene assassinato
il 9 giugno 1525 da un servitore del cugino Wilhelm von Grumbach. Geyer fu
immediatamente sepolto in un bosco dal suo uccisore ed il posto è rimasto a
tutt’oggi un segreto. La Lega Sveva
vittoriosa marcia su Würzburg. Georg Truchsess non ha difficoltà ad
espugnare la città che diviene il centro della repressione. Il giorno in cui il
Vescovo Corrado è reintegrato con gran pompa nella sua residenza, 81 contadini
vengono giustiziati. Centocinquanta persone, tra cui lo scultore Tilman
Riemenschneider, antico borgomastro di Würzburg, sono appese e torturate:
restano esposti per una settimana. Inizia la rappresaglia: la città di Deiningen
è data alle fiamme con molti altri villaggi. I principi ed il clero invocano la
repressione più spietata. I capi dell’Odenwald Haufen vengono decapitati. Wendel
Hipler imprigionato a Rottweil morrà l’anno seguente. Georg Metzler,r riuscito a
fuggire, si unirà ad una banda d’avventurieri.
Nella città di Giebelstadt presso i resti del castello
della famiglia Geyer si celebrano e
ricordano le gesta del condottiero. Dal 1976 nei primi tre fine settimana di
luglio migliaglia di spettatori assistono alle rievocazioni storiche in costume.
http://www.florian-geyer-festspiele.de/
Il nome di Florian Geyer cavaliere fedele alla causa
dei contadini viene eternato da artisti e poeti. Gerhart Hauptmann (1862-1946)
scrittore e drammaturgo tedesco, premio nobel del 1912, scrisse nel 1896 l’opera
Florian Geyer. Die Tragödie des Bauernkriegs
in fünf Akten mit einem Vorspiel dedicata al condottiero e alla rivolta dei contadini.
Il Botho Luca Chor ha registrato cd e musicassette con musiche e canzoni
originali del periodo tra cui la celebre “Wir sind des Geyers Schwarzen
Haufen”
http://www.landini-baumbach.de/test/mtm/shop/select.php?start=31&grp=10
L’ottava divisione di cavalleria SS adottò il nome di
Florian Geyer. L’ 8° SS-Kavallerie Division Florian Geyer partecipò alla
campagna di Russia e fu distrutta durante l’assedio di Budapest nel 1945. Il 12
febbraio del 1945 con la caduta di Budapest solo 170 sopravvissuti riescono a
raggiungere le linee tedesche. L’ultimo comandante della divisione
SS-Brigadeführer Joachim Rumohr si suicidò per non cadere nelle mani dei
russi.
Incisione del 1936 dell’artista tedesco Georg
Sluyterman von Langeweyde (www.geocities.com/stromerhannes/ ) che rappresenta un membro delle Haufen contadine.
Da notare la bandiera con lo scarpone simbolo del Bundschuh e la mano con il
segno del giuramento. La frase: “Chi non sa morire per la libertà è pronto per
la catena” è del poeta romantico G. A. Bürger (1747 – 1794)
Già dall’inizio
del 16° secolo i contadini si erano riuniti sotto il simbolo della lega dello
scarpone. Lo scarpone con legacci era il calzare dell’uomo comune., mentre i
cavalieri e i ricchi borghesi delle città indossavano scarpe con fibie. Il
giuramento alla lega dello scarpone significava fedeltà alla causa dei
contadini.
I Dodici
Articoli
Redatti tra il febbraio e marzo del
1525 dal pellicciaio di Memmingen Sebastian Lotzer con l’aiuto del predicatore
locale Schappeler furono ad un tempo documento di protesta, programma di riforme
e un manifesto politico. Il titolo originale era: Articoli fondamentali di diritto, con cui i
contadini ed i servi reclamano contro le proprie autorità ecclesiastiche e
mondane. Raccolsero circa trecento liste di doglianze sporte alla Lega
Sveva. Ebbero una grande diffusione, nel volgere di due mesi furono stampati in
venti edizioni. Nel 1526 furono oggetto di discussione alla dieta di Spira,
intenta a prevenire future insurrezioni contadine.
Articolo
Primo
Primo, umilmente noi chiediamo -
secondo la volontà e l'intendimento di noi tutti - che in futuro tutta la
comunità goda dell'autorità piena di eleggersi e scegliersi il pastore; e che
nostro sia anche il potere di deporlo qualora egli dovesse dimostrarsi indegno.
Lo stesso pastore eletto deve predicarci il Santo Vangelo con purezza e
chiarezza, senza l'aggiunta di insegnamenti o comandamenti umani. Giacché
proclamarci di continuo la vera fede ci stimola a chiedere a Dio la Sua grazia,
affinché Egli possa istillare e confermare in noi quella stessa vera fede.
Giacché se la grazia di Dio non viene istillata in noi, sempre rimarremo carne
ed ossa, cose prive di valore. La Scrittura dice chiaramente che possiamo
arrivare a Dio solo per mezzo della vera fede e che possiamo essere salvati
soltanto dalla Sua misericordia. Per questo abbiamo bisogno di una simile guida
e di un simile pastore; la nostra richiesta si fonda dunque sulla
Scrittura.
Articolo
Secondo
Secondo, sebbene la vera decima
sia ingiunta nel Vecchio Testamento ma sostituita nel Nuovo, pagheremo tuttavia
volentieri la vera decima sul grano, ma ciò deve essere fatto rettamente. Poiché
è dovuta a Dio e da dividersi tra i Suoi servitori, essa spetta a un pastore che
proclami chiaramente la Parola di Dio. Vogliamo che in futuro questa decima
venga raccolta e ricevuta dal nostro sacrestano, che sarà nominato dalla
comunità tutta intera. Questi ne darà al prete eletto dalla comunità intera una
porzione congrua e sufficiente per il sostentamento suo e dei suoi dipendenti,
secondo il giudizio della comunità tutta: Il restante sarà distribuito ai poveri
bisognosi che si trovino presenti nello stesso villaggio, secondo le circostanze
e il giudizio della comunità. Qualsiasi sopravanzo dovrà essere conservato nel
caso che diventi necessario andare in guerra per la difesa del paese; vi si
dovrà contribuire prelevando da questa eccedenza affinché nessuna tassa debba
essere imposta sul povero. Nel caso che uno o più villaggi abbiano alienato le
decime perché spinti a ciò dal bisogno, colui che può dimostrarne l'acquisto
dall'intero villaggio non dovrà subire perdite. Giungeremo infatti con lui a un
giusto accordo secondo le circostanze per riscattare la decima in rate
convenevoli lungo un certo periodo. Nel caso che qualcuno abbia acquistato la
decima non dal villaggio, ma dai suoi antenati che se ne erano appropriati, non
vogliamo, non dobbiamo, né siamo più a lungo obbligati a versargliela, bensì
unicamente, come detto sopra, a mantenere con la decima il nostro pastore eletto
e raccogliere quindi il rimanente, oppure, come dice la Sacra Scrittura,
distribuirlo ai bisognosi, siano essi chierici o laici. La piccola decima non la
pagheremo affatto, poiché il Signore Iddio ha creato il bestiame affinché sia
liberamente usato dall'uomo, e la consideriamo pertanto una decima impropria,
inventata dagli uomini, che non verseremo più.
Articolo
Terzo
Terzo, è stato uso finora dei
signori considerarci loro servi. Ciò è esecrabile, visto che Cristo versando il
Suo prezioso sangue ci ha redenti e riscattati tutti, dal pecoraio fino al rango
più elevato, nessuno escluso. Pertanto è dimostrato nelle Scritture che siamo
liberi e desideriamo essere liberi. Non che desideriamo essere completamente
liberi, né avere alcuna autorità, poiché non è questo che Dio ci insegna.
Dobbiamo vivere secondo i comandamenti, non secondo la libera licenza della
carne; ma dobbiamo amare Dio, riconoscere in Lui il nostro Signore nel prossimo,
e fare tutto ciò (come volentieri faremmo) che Dio ci ha comandato nell'Ultima
Cena. Dunque dobbiamo vivere secondo il Suo comandamento; e questo comandamento
non ci indica né ci insegna a disobbedire all'autorità, ma anzi a prostrarci
davanti a tutti, e non solo a coloro che comandano. Noi quindi obbediamo di buon
grado ai nostri governanti prescelti e designati (a noi designati da Dio) in
ogni questione giusta e cristiana. E non dubitiamo che voi, da veri e genuini
cristiani, sarete lieti di liberarci dalla servitù, oppure dimostrarci sul
Vangelo che siamo servi.
Articolo
Quarto
Quarto, è stato uso finora che a
nessun povero fosse permesso di catturare selvaggina, volatili o pesci in acque
correnti, il che ci appare assai ingiusto e contrario al buon vicinato, e per di
più egoista e contrario alla Parola di Dio. Vi sono luoghi dove i signori
conservano la selvaggina con nostro enorme danno e patimento. Ci tocca
sopportare che bestie dissennate divorino sfrenatamente e senza ragione i nostri
raccolti (fatti crescere da Dio perché gli uomini se ne servano); sarebbe empio
e contro ogni norma di buon vicinato tacere questo abuso. Quando infatti Dio
nostro Signore creò l'uomo gli concesse il dominio su tutti gli animali, sugli
uccelli, dell'aria e i pesci delle acque. Noi dunque chiediamo che se qualcuno
ha delle acque egli debba provare con documenti adeguati che quell'acqua gli sia
stata volontariamente venduta. Nel qual caso non richiediamo che gli venga tolta
con la forza; in nome dell'amore fraterno si dovrà anzi dare prova di cristiana
comprensione in questa faccenda. Ma chi non sia in grado di produrre prove
conformi dovrà cedere debitamente le acque alla comunità.
Articolo
Quinto
Quinto, abbiamo una rimostranza
riguardo al taglio della legna, poiché i nostri signori si sono appropriati dei
boschi, e quando il povero ha bisogno di legna deve pagarla un prezzo doppio. A
nostro avviso i boschi tenuti dai signori, sia ecclesiastici che secolari, senza
che questi ne abbiano fatto acquisto devono ritornare all'intera comunità. La
comunità dovrebbe essere libera di consentire a tutti, ordinatamente, di usare
gratuitamente quanto necessario per il fuoco domestico e di prendere altresì
gratuitamente il legname da costruzione quando è necessario, pur dovendosene
informare l'ufficiale eletto all'uopo dalla comunità. Qualora non vi siano altri
boschi fuorché quelli debitamente comperati, si dovrà raggiungere con il
proprietario un accordo fraterno e cristiano; ma se la proprietà era stata
venduta in seguito ad un esproprio arbitrario verrà raggiunto un accordo secondo
le circostanze del caso e i precetti dell'amore fraterno e della Sacra
Scrittura.
Articolo
Sesto
Sesto è il nostro oneroso gravame
di servizi in lavoro, che quotidianamente si accrescono in quantità e varietà.
Chiediamo che si compia una giusta inchiesta e che così aspri gravami non ci
vengano imposti; che il nostro caso sia benignamente preso in considerazione
sulla base dei servizi forniti dai nostri antenati, ma anche secondo il tenore
della Parola di Dio.
Articolo
Settimo
Settimo, non consentiremo in
futuro ad alcun signore di opprimerci oltre. Ognuno invece condurrà il proprio
podere secondo le condizioni proprie alle quali gli è stato affidato, cioè
secondo l'accordo tra il signore e il contadino. Il signore non potrà imporgli
altro, né sotto forma di servizi né sotto forma di tributi non compensati,
affinché il contadino possa usare e godere in pace e libero da gravami quanto è
in suo possesso. Se però il signore richiederà dei servizi, il contadino dovrà
servire di buon grado il suo signore prima di ogni altro, ma in tempi e giorni
non svantaggiosi per il contadino, e dietro ricompensa
confacente.
Articolo
Ottavo
Ottavo, molti di noi che conducono
un podere sono gravati dal fatto di non riuscire a pagare i canoni, motivo per
cui molti contadini perdono la terra e vengono rovinati. I signori devono fare
ispezionare i poderi da uomini degni di fede per stabilire un canone equo,
affinché il contadino non debba lavorare in cambio di niente; giacché ogni
lavoratore è degno di essere retribuito.
Articolo
Nono
Nono, siamo gravati nelle
questioni di giurisdizione criminale, per le quali vengono fatte in
continuazione nuove leggi. I castighi non ci vengono comminati in merito ai
fatti, ma talora in grave malafede e talaltra con grande parzialità. A nostro
avviso dovremmo essere puniti in base alle antiche leggi scritte e secondo le
circostanze, non faziosamente.
Articolo
Decimo
Decimo, siamo afflitti per il
fatto che alcuni si sono impadroniti di prati o campi arabili che un tempo
appartenevano alla comunità. Noi li restituiremo alla proprietà comunale, salvo
che siano stati debitamente acquistati. Se invece l'acquisto è avvenuto
impropriamente, si dovrà raggiungere tra i contraenti un accordo amichevole e
fraterno sulla base dei dati di fatto.
Articolo
Undecimo
Undicesimo, vogliamo abolite
completamente le tasse di successione per causa di morte. Non permetteremo che
vedove ed orfani siano così vergognosamente spogliati e derubati dei loro averi,
contro Dio e contro l'onore, come è avvenuto in molte località e in vario modo.
Ci hanno estorto e strappato quegli stessi beni che spetterebbe loro custodire e
proteggere; e se avessero un minimo appiglio legale ci toglierebbero ogni cosa.
Dio non lo tollera più oltre; tutto ciò sarà abolito. D'ora in avanti nessuno
sarà più obbligato a pagare alcunché, in nessuna misura. Conclusione
Dodicesimo, è nostra conclusione e
risoluzione finale che, qualora uno o più dei soprascritti articoli non
risultasse in accordo con la Parola di Dio (cosa che non crediamo), dovrà
esserci dimostrato sulla Parola di Dio che essi non sono ammissibili e noi li
abbandoneremo quando ciò sarà chiarito in base alla Scrittura. Se ora dovessero
venirci concessi alcuni articoli che siano in seguito trovati ingiusti, essi da
quel momento saranno considerati nulli e invalidi, privi di valore. Parimenti,
se altri articoli si troveranno nelle Scritture che onestamente parlano di atti
contrari a Dio e gravosi per i nostri simili, ci riserviamo di aggiungerli alle
nostre risoluzioni. Ci eserciteremo e ci metteremo alla prova in tutta la
dottrina cristiana, e pregheremo a tal fine il Signore Iddio; giacché Lui solo,
e nessun altro, può concedercela. La pace di Cristo sia con noi tutti
Wir sind des Geyer schwarze
Haufen
Melodia di Fritz
Sotke,1919 testo di
Heinrich von
Reder,1885
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